Ultimi primi e primi ultimi

Omelia nell'anniversario della Dedicazione della Basilica Cattedrale
24-09-2017
  1. Mentre ascoltavo insieme con voi la santa Parola, mi tornavano alla memoria alcuni passaggi del magistero del Vaticano II sulla Chiesa: l’intima natura della Chiesa – leggiamo – ci si fa conoscere attraverso immagini varie. Spesso, infatti, la Chiesa è detta edificio e casa di Dio e noi sappiamo che lo stesso Signore si paragonò alla pietra che i costruttori hanno rigettata, ma che è divenuta la pietra angolare. Anche noi, peraltro, siamo denominati casa di Dio. La Chiesa è chiamata pure campo di Dio, dove cresce l’antico ulivo, la cui santa radice sono stati i patriarchi e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei Giudei e delle Genti (cf. Lumen Gentium 6).

Se osserviamo tutte queste immagini vi riconosciamo sempre il medesimo schema: la Chiesa, Cristo e noi. Noi non siamo Cristo e tuttavia egli, speranza di gloria, come un figlio nel grembo della mamma dimora dentro di noi (cf. Col 1, 29). La Chiesa non è Cristo, ma è il suo corpo e la sua sposa. Noi non siamo la Chiesa, ma la Chiesa non c’è senza di noi. Questo, carissimi, noi oggi celebriamo mentre commemoriamo la dedicazione della nostra Cattedrale. Cristo in noi; la Chiesa e Cristo; noi in Cristo e nella Chiesa… È quel mistero che sant’Agostino amava indicare come il Christus totus, il Cristo totale e che noi, oggi, dobbiamo contemplare guardando la nostra Cattedrale.

Mani d’uomo l’hanno costruita tanti secoli fa al tempo di Costantino, poi nei secoli successivi l’hanno riedificata e anche adornata perché sia la nostra casa e perché sia casa di preghiera e di lode. «Nella tua casa, Signore, esultiamo di gioia», abbiamo infatti ripetuto facendo eco alla promessa di Dio: «Li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera» (Is 56, 7). Ecco, dunque, ciò su cui vorrei subito portare la nostra attenzione: preghiera e gioia.