Omelia nella solennità di San Gregorio Magno

02-09-2004

OMELIA

nella solennità di San Gregorio Magno

 

1. 'Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me' E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre!' (Gv 10,14.16). L'immagine del 'buon pastore' è tra le più care alla simbologia biblica e alla tradizione cristiana, che la ripete nella pluralità delle sue dimensioni: di questa, oggi evocata attraverso la proclamazione del Vangelo, che pone l'accento sull'intimità della relazione che si stabilisce fra Gesù e i suoi discepoli, a quella presente nella nota parabola del vangelo secondo Luca, che mostra la sollecitudine del Signore che non abbandona nessuno e si pone alla ricerca di chi si è smarrito (cf. Lc 15,4-7), a quell'apertura missionaria d'orizzonti, infine, delineata da quelle parole conclusive che anche noi questa sera abbiamo ascoltato: 'ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre'.

 

Sotto l'effetto di queste parole sono come spalancate le porte dell'ovile dove sono raccolte le pecore ed è come abbattuto il recinto dentro il quale sono custodite. Scompaiono i dolci toni bucolici. Gesù non è un pastorello che suona il flauto davanti agli agnellini. Per lui non ci sono più frontiere: per questo il pastore alza gli occhi, guarda oltre l'immediato e scruta nuovi orizzonti. Ci sono altre pecore che egli 'deve' condurre. Questo verbo: dovere, torna per la seconda volta per Gesù nel vangelo secondo Giovanni (cf. Gv 4,4) e richiama per lui un'esigenza apostolica, legata alla volontà del Padre. Per quest'ansia missionaria di Gesù, che ha già il conforto della speranza ('ascolteranno la mia voce'), non vi sono confini, o steccati, o riserve di caccia! C'è, piuttosto, l'obbedienza alla missione, al 'comandamento' ricevuto dal Padre: dare la vita per questa riunione dei popoli in un solo gregge e un solo pastore.

 

 
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