Poniamoci in attento ascolto della parola di Dio, che è risuonata appena adesso in mezzo a noi. Sia, il nostro, un ascolto che si modella su quello della Chiesa, che, come leggiamo nella costituzione Dei Verbum del Vaticano II, è un «religioso ascolto». Ma quand'è che un ascolto è religioso? Non quando è un ascolto semplicemente devoto e pio, ma quando conserva il suo legame con Dio. Ossia, quando è «vincolato», «legato» a Dio. È un ascolto pronto a fare la volontà di Dio, come la Vergine Maria che ha ascoltato col cuore aperto per accogliere e con le labbra pronte a aderire col suo Amen, fiat.
La parola di Dio cui, nel nostro ascolto, propongo di «collegarci» questa sera, è il verbo ricordati, che Mosé dice al popolo di Israele: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto...». Questo verbo lo usiamo tante volte anche noi, ad esempio per ammonire, per richiamare. Altre volte è come una richiesta di amore. Ad una persona cui vogliamo bene e che sta per partire diciamo: «Ricordati di me...», quasi alla ricerca di non spezzare legami che, in ogni caso, almeno per la distanza stanno per allentarsi. Mosé, però, non domanda al popolo di ricordarsi di lui. Dice piuttosto di ricordarsi di Dio. Ancora di più: esorta a ricordarsi dell'agire di Dio. In altri termini, Israele deve ricordarsi di ciò che il Signore ha fatto per lui nella storia: ricordati del cammino'
Oggi, celebrando la solennità del Corpo e Sangue del Signore anche noi faremo un cammino. Sarà un cammino nella pubblica via della Città; sarà un cammino pubblico perché pubblicamente e sotto gli occhi di tutti intendiamo manifestare la nostra fede nella presenza del Signore nella Eucaristia. Ma per ricordarci del cammino che Dio ci ha fatto percorrere, abbiamo bisogno di interiorizzare. Abbiamo bisogno non di un cammino esteriore, ma di un viaggio interiore.
Una psicoterapeuta (V. Sollazzo) ha scritto di recente un libro sulla sofferenza proprio con questo titolo Il sentiero del viaggio interiore, dove indica un percorso a tappe, che riassume in questi tre imperativi: «conosciti, amati, guarisci». Io non sono uno psicoterapeuta e posso soltanto intuire ciò che s'intende. Ma questi tre verbi mi piacciono e perciò tento delle analogie in rapporto al mistero della Eucaristia. Devo, però, invertire le tappe del percorso suggerito e per questo dico che il primo effetto in noi dell'Eucaristia è quello di guarirci.
Prima di accostarci alla mensa del Signore la Liturgia ci domanda di ripetere delle parole che s'ispirano a Mt 8,8: «Signore, io non sono degno che tu entri nella mia casa, ma dì soltanto una parola e io sarò guarito». Quando ci avviciniamo all'altare per ricevere il Corpo del Signore confessiamo: et sanabitur anima mea. Somigliamo al lebbroso che domanda a Gesù: «Se tu vuoi, puoi guarirmi» (Mt 8,2). Sì, è vero, ci sono dei casi in cui la volontà di guarire diventa davvero forza di guarigione. Il più delle volte, però, la volontà di guarire non basta per guarire davvero! Al lebbroso del Vangelo non bastava di sicuro la volontà di guarire. Era inefficace, cCome tanti nostri desideri... A tal punto siamo nella miseria, nella povertà. Per questo il lebbroso dice: se Tu vuoi! A Gesù basta l'ammissione dell'incapacità a guarire da soli ed egli guarisce. Proprio sottolineando la forza di guarigione insita nell'Eucaristia, Don Orione diceva: «questo dono [Gesù] non lo ha riservato alle anime vergini o a dei privilegiati, ma lo ha dato per tutti e quasi direi di preferenza ai più deboli nella virtù, ai più doloranti, agli infermi di ogni languore, ai poveri, ai ciechi per ignoranza, agli storpi, a noi tanto imperfetti. Il nostro posto eÌ là alla mensa del Signore. Là per essere guariti , là per essere illuminati, per essere consolati, nutriti, vivificati della sua stessa vita divina» (Scritti 104, 256).
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