1. Oggi noi celebriamo la Festa della Presentazione del Signore non, come abitualmente, nella nostra Cattedrale, bensì in questa chiesa di San Paolo. Ne conoscete le ragioni: dai primi giorni del mese di gennaio, infatti, sono iniziati dei lavori di restauro destinati a rendere più bella e accogliente quella che in ogni Diocesi è la 'Madre' di tutte le chiese e la custode della 'cattedra', da cui il Vescovo diocesano guida e accompagna la vita delle comunità che gli sono state affidate. In tale contesto ho la gioia di comunicarvi che, procedendo al riordinamento liturgico dell'area presbiteriale è stato possibile ritrovare la sepoltura del cardinale-vescovo Ludovico Altieri, figura eminente di ecclesiastico e soprattutto di pastore, che ha dato la vita per le sue pecorelle. Accorso da Roma per stare accanto ai suoi fedeli nelle tristi circostanze del colera dell'agosto 1867, fu accanto a tutti come angelo consolatore e, avendo contratto il morbo, morì l'11 agosto compianto da tutti e unanimemente riconosciuto come 'martire della carità'.
Siamo, tuttavia, ben lieti, mentre celebriamo pure la XII Giornata della Vita Consacrata, di trovarci raccolti in questo Santuario, dove è custodito e vive il carisma di san Gaspare del Bufalo, fondatore della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue e iniziatore insieme con la beata Maria De Mattias dell'Istituto delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue. Questi Santi, insieme con i vostri Santi e Sante fondatori e fondatrici e tutte le persone Sante che sono in vario modo congiunte a questa Chiesa particolare, siano i nostri intercessori e protettori.
Come chiameremo questa Liturgia? Tanti fra voi risponderebbero di sicuro: Hypapantè, ossia 'incontro'. Questa, difatti, è la denominazione, che la festa odierna assunse fin dal secolo VI a Costantinopoli. Poco fa, per la benedizione delle candele ci siamo radunati nella Cappella del nostro Seminario e tra le preziose icone conservate avete di sicuro notato quella della Hypapanté. Sì, nel suo Tempio il Signore ha incontrato il suo popolo nella persona dei santi Simeone e Anna. Anche a noi ora Egli viene incontro nella sua Parola e nel Pane eucaristico, durante questa Santa Messa.
'Maria e Giuseppe portarono il bambino''. L'evangelista scrive nella lingua greca che Gesù era paidion (cf. Lc 2, 27), ossia bambino piccolo, nato da poco, un infante. Dio ci viene incontro nella piccolezza di Gesù. Il Figlio di Dio è 'piccolo'. Il Grande e l'Immenso si è 'abbreviato'. San Francesco scriveva nella sua Regula Bullata che 'il Signore sulla terra ha fatto il verbum abbreviatum' (cap. IX; cf. Rom 9, 28), intendendo che tutta l'opera di Dio si è come accorciata nella persona del Verbo Incarnato. Dio si è rimpicciolito per farsi capire e comprendere da noi. Noi, che siamo poveri, Egli ci raggiunge con la sua povertà: in Gesù Dio si è fatto povero, indigente, affamato, bisognoso di essere nutrito con mani umane. Per questo abbiamo ascoltato dalla Lettera agli Ebrei che si è reso 'in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso''. Sì, davvero questa è la festa dell'Incontro e il nostro cuore si rallegra perché ci scopriamo cercati, trovati e visitati dal Signore. Il Salmo 23 ha dato voce alla nostra emozione e alla nostra gratitudine e il canto del Prefazio fra poco ci incoraggerà ancora: 'Esultanti andiamo incontro al Signore''.
Vorrei, tuttavia, dare pure un altro nome a questa Santa Liturgia e lo desumo dalle parole del Salmo 47, 10: Suscepimus, Deus, misericordiam tuam in medio templi tui, che nel Messale sono offerte come canto per l'ingresso: 'Abbiamo accolto, o Dio, la tua misericordia in mezzo al tuo tempio'. La Festa dell'Incontro è pure la festa della accoglienza, del ricevere il dono di Dio e di tenerlo fra le braccia.
Questo gesto tanto materno lo vediamo anzitutto in Santa Maria. L'Inno Legis sacratae riservato dalla 'Liturgia delle Ore' per l'Ufficio delle Letture di questa festa è davvero molto poetico. Ne è autore Paolino d'Aquileia, lo stesso che ha scritto il più famoso inno Ubi caritas. La seconda strofa recita così: 'Mater beata carnis sub velamine / Deum ferebat umeris castissimis, /dulcia strictis oscula sub labiis / Deique veri hominisque impresserat / ori, iubente quo sunt cuncta condita': è un'immagine colma di tenerezza poiché ci presenta la Madre che porta poggiato sulla spalla il Bambino e lo copre di baci. Anche Simeone , come abbiamo ascoltato dal Santo Vangelo accolse il Bambino tra le sue braccia e la Chiesa lo onora per questo gesto: 'Beatus Simeon, qui suscepisti Christum Dominum''. Beato Simeone! Torna anche qui il verbo dell'accoglienza: suscipere. Tutti noi, come Maria e come Simeone vogliamo accogliere tra le braccia Gesù.
2. 'Tutto quello che c'è in me è del mio Amato, a lui devo tutto' Chi mi vuol bene voglia bene anche a lui, perché io sono di chi lui vuole che io sia'. Il Messaggio dei Vescovi italiani per questa Giornata della Vita Consacrata 2008 esordisce con le parole, che ho appena citato, desunte dal 'Commento al Cantico', opera di Fr. Luis de Léon (1528-1591), grande agostiniano spagnolo, il quale proprio per avere tradotto in castigliano questo libro della Bibbia rimase incarcerato dall'Inquisizione per quattro anni. Il Messaggio dei Vescovi dice che in quelle espressioni di alto valore poetico e mistico è possibile ritrovare il cuore della vita consacrata' Inserite nel contesto della Missa Suscipimus queste espressioni di alto valore nuziale c'incoraggiano a qualche altra riflessione.
Una volta si usava che, concluso il banchetto nuziale e partiti tutti i parenti e gli amici, lo sposo prendesse tra le braccia la sposa e la portasse con sé nella stanza nuziale. Come riporta pure il 'Catechismo della Chiesa Cattolica', per tale circostanza San Giovanni Cristostomo suggeriva allo sposo questa preghiera: 'Ti ho presa tra le mie braccia, ti amo, ti preferisco alla mia stessa vita. Infatti l'esistenza presente è un soffio, e il mio desiderio più vivo è di trascorrerla con te in modo tale da avere la certezza che non saremo separati in quella futura. [...] Metto l'amore per te al di sopra di tutto e nulla sarebbe per me più penoso che il non essere sempre in sintonia con te»' (In epistulam ad Ephesios, Homilia 20, 8; cf. CCC 2365).
Prendere fra le braccia è sempre un segno di grande intimità. Tutti noi siamo stati, un giorno, presi fra le braccia. Della prima volta non ce ne ricordiamo, ma chi lo ha fatto per primo - sono stati di sicuro le nostre mamme e i nostri papà ' ci hanno voluto un gran bene. Quanto volte non lo rivediamo, questo gesto? Un tempo erano soltanto le mamme, ma ora ci accade sempre più spesso di vedere anche i papà tenere e stringere fra le braccia i propri piccoli, o portarseli in alto sulle spalle. Ed è proprio questo che, oggi, il Vangelo ci ha mostrato.
Dopo averlo portato nel grembo per nove mesi, una Madre, trascorsi quaranta giorni dal parto, e il suo sposo 'portarono' (anégagon) il bambino a Gerusalemme. Come immaginare questo verbo greco? Una traduzione letterale direbbe che lo 'portarono in alto'. Un bimbo, certo, li solleva dalla sua piccolezza e lo si porta al petto. Quante volte un papà non portato il proprio bimbo sulle spalle, anche solo per giocare, o per farlo sentire importante' Sono sempre gesti di amore.
Portare qualcuno fra le braccia, o essere presi fra le braccia' sono segni di intimità grande, di tenerezza, di forte amicizia. Quando, però, ce lo fanno da grandi, esso ci mette in forte in imbarazzo perché dà l'idea di un'autonomia perduta per debolezza, o per malattia. Accade allora che un papà, divenuto anziano o infermo e vedendosi sollevato fra le braccia dal figlio, pianga! Non sono i padri a dovere sollevare i figli? Sì, perché essere presi fra le braccia vuol dire avere bisogno degli altri e questa esperienza ' se Dio lo vorrà ' la vivremo tutti almeno al termine della nostra vita: 'quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un aktro ti condurrà'' (Gv 21, 18). Ed è proprio per quell'ora che noi dobbiamo conservare la speranza: 'Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace' Nunc dimittis'' (Lc 2, 29).
Tutti siamo chiamati a vivere un cammino di umiltà; dobbiamo accettare di essere 'portati', perché da soli non ce la facciamo, non abbiamo le forze sufficienti, non siamo capaci. Riconosciamo il valore di questo dato umano; riconosciamolo, magari mentre siamo presi dall'ebbrezza della nostra autosufficienza. Non bastare a se stessi' avere bisogno delle bracci di un altro' .È già accaduto quando eravamo bambini e accadrà ancora e sarà di nuovo una grazia, un dono, una benedizione: 'lo accolse tra le braccia e benedisse Dio'.
Portare tra le braccia gli altri ed essere portati tra le braccia di un altro è la condizione fondamentale per essere uomini. Anche per la vita spirituale è così; anche nella vita consacrata è così. Quando ci sono uomini e donne di intimità e di confidenza, capaci di 'portarsi' e 'sopportarsi' gli uni gli altri c'è speranza. Sono le verifiche delle relazioni autentiche.
Ed ecco che oggi nella santa Eucaristia il Signore ci fa un dono: quello di lasciarsi prendere da noi, di lasciarsi tenere dalle nostre mani. Quanto è bello questo gesto liturgico ritrovato, di potere avere il pane consacrato nelle mani. Gesto umile, supplice, confidente, intimo; gesto che ci rende simili a Maria e Giuseppe, che 'portarono' il Bambino, e a Simeone, che 'lo accolse fra le sue braccia e benedisse Dio'. Così anche noi, quando prendiamo nelle nostre mani il Corpo eucaristico del Signore diciamo: Amen. Suscepimus, Deus, misericordiam tuam in medio templi tui!
Fare così la comunione, con questo gesto antico e nuovo, dice voler vivere con Gesù in relazione di prossimità, di nuzialità, di intimità; dice essere, come Simeone, capaci di stupirsi (lo 'stupore eucaristico' di cui per primo parlò Giovanni Paolo II nella Ecclesia de Eucharistia) e liberi di lasciarsi andare: 'ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace'.
Che tutti noi possiamo vivere nel cuore della nostra esistenza l'intimità di un simile incontro col Signore, nella certezza che quel luogo preciso dove Egli ci porta durante la nostra vita e quell'ora precisa in cui Egli lo fa sono lo stesso luogo e la stessa ora in cui noi dobbiamo portare Lui, Lumen ad revelationem gentium, perché siano illuminati ogni donna e ogni uomo che incontriamo.
Amen.
Marcello Semeraro