15-02-2015
Celebriamo oggi, nella nostra Diocesi, la Giornata mondiale del malato. Ringrazio il nostro Ufficio per la pastorale della sanità di averla organizzata e saluto voi, carissimi fedeli, per avere corrisposto allinvito. Il Vangelo domenicale ci ha raccontato la guarigione di un lebbroso fatta da Gesù (cfr Mc 1, 40-45). Il testo, per la verità, non parla propriamente di guarigione, bensì di purificazione. «Se vuoi, puoi purificarmi!», supplica il lebbroso; «lo voglio, sii purificato», gli risponde Gesù. Quel che è chiamata «lebbra» è, dunque, qualcosa di molto più profondo rispetto al tumore, o pustola, o piaga di cui abbiamo sentito dal libro del Levitico. È un male interiore dotato di forza di «respingimento», vorrei dire ricorrendo ad una triste parola; è una sorta di barriera che tiene lontani, che isola. «Impuro! Impuro» deve gridare il lebbroso per tenere lontani gli altri e stare a sua volta alla larga. Egli, che è fondamentalmente un emarginato dallo spazio santo dIsraele come ci fa capire lammonimento di Gesù di andare a mostrarsi al sacerdote e pure un estromesso dal consorzio umano. È da questa solitudine globale che col suo grido il lebbroso domanda di uscire.
Egli sa di essere un respinto. Da Dio, anzitutto. Per questo la sua richiesta di purificazione mi richiama il lamento di Gesù sulla croce: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22, 2). Questo rifiuto, che lo rende pure un segregato dagli altri, il lebbroso vuole come sfondarlo col suo gesto di gettarsi alle ginocchia di Gesù. Anche con la sua supplica: «purificami!» egli vuole aprire una breccia nel muro della separazione.
Il muro. Ieri cè stato quello di Berlino; oggi cè quello eretto in Cisgiordania dallo Stato di Israele; questo muro, però, è peggio. Il muro è un simbolo. Cè una serie di storie che J. P. Sartre raccolse proprio sotto questo medesimo titolo: il muro! Lì i personaggi sono tutti bloccati nelle loro reali situazioni e un muro dimpotenza vieta ogni via duscita e proibisce ogni possibilità di comunicazione e di salvezza.
Nel racconto del Vangelo, però, accadono cose nuove. Il lebbroso, anzitutto, è attratto invincibilmente dalla persona di Gesù come da una calamita. Violando la prescrizione legale di starsene solo (cfr Lev 13, 46), egli ha il coraggio di dare almeno una picconata al muro che lo rinchiude. Da solo, però, non ce la fa e cade ginocchioni per terra. Ecco, allora, che Gesù fa sua quella violazione e la porta alle sue ultime conseguenze. Trasgredisce anchegli la Legge: «tese la mano, lo toccò»! Gesù stende il braccio e tira fuori il lebbroso. Quel «lo cacciò via subito», infatti, di cui abbiamo sentito nel racconto può essere meglio tradotto con: lo tirò subito fuori!
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Egli sa di essere un respinto. Da Dio, anzitutto. Per questo la sua richiesta di purificazione mi richiama il lamento di Gesù sulla croce: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22, 2). Questo rifiuto, che lo rende pure un segregato dagli altri, il lebbroso vuole come sfondarlo col suo gesto di gettarsi alle ginocchia di Gesù. Anche con la sua supplica: «purificami!» egli vuole aprire una breccia nel muro della separazione.
Il muro. Ieri cè stato quello di Berlino; oggi cè quello eretto in Cisgiordania dallo Stato di Israele; questo muro, però, è peggio. Il muro è un simbolo. Cè una serie di storie che J. P. Sartre raccolse proprio sotto questo medesimo titolo: il muro! Lì i personaggi sono tutti bloccati nelle loro reali situazioni e un muro dimpotenza vieta ogni via duscita e proibisce ogni possibilità di comunicazione e di salvezza.
Nel racconto del Vangelo, però, accadono cose nuove. Il lebbroso, anzitutto, è attratto invincibilmente dalla persona di Gesù come da una calamita. Violando la prescrizione legale di starsene solo (cfr Lev 13, 46), egli ha il coraggio di dare almeno una picconata al muro che lo rinchiude. Da solo, però, non ce la fa e cade ginocchioni per terra. Ecco, allora, che Gesù fa sua quella violazione e la porta alle sue ultime conseguenze. Trasgredisce anchegli la Legge: «tese la mano, lo toccò»! Gesù stende il braccio e tira fuori il lebbroso. Quel «lo cacciò via subito», infatti, di cui abbiamo sentito nel racconto può essere meglio tradotto con: lo tirò subito fuori!
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