Dove sono io, là sarà pure il mio servo

Omelia per l’Ordinazione al Diaconato di Pietro Larin
18-03-2018
  1. C’è una parabola, nel Vangelo secondo Matteo, dove si parla di chiamate (vocazioni) rivolte agli uomini in ore diverse della giornata: andate nelle mia vigna (cfr. 20, 1-7). Lo stesso Gesù ha fatto delle chiamate in tempi differenti della sua vita terrena: alcune all’inizio del ministero pubblico (ad esempio quando, sulle rive del mare di Galilea, incontrò Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni: erano pescatori e Gesù li chiamò mentre erano impegnati nel lavoro quotidiano: cfr. Mt 4, 18-22); altre successivamente (come quando, a un giovane molto bene intenzionato, disse: vieni e seguimi. Quello, però, se ne andò triste – racconta l’evangelista – perché bloccato dalle sue molte ricchezze: cfr. Mt 19, 22).
    Anche nel racconto evangelico di questa Domenica c’è una chiamata. Gesù, però, si muove già nella prospettiva della morte e non chiama più uno ad uno; non guarda a dei volti e si esprime in termini generali, con un tono umile e sommesso. Più che un comando, è una domanda la sua: «se uno mi vuole servire, mi segua…».
    È la prima volta che nei vangeli il servizio compare unito alla sequela. Il servizio è discepolato e la sequela è servizio. Gesù lo chiama diakonia, ma è ben più di un ministero nella comunità; è una caratteristica del discepolato in quanto tale. 
  1. In questa vocazione c’è una caratteristica, che la rende del tutto differente dalle altre: scaturisce, infatti, da un animo affranto, angosciato: «Adesso l’anima mia è turbata», dice Gesù. È singolare che l’evangelista abbia stabilito questa sequenza – una sorta di legame logico – tra vocazione e passione di Gesù. Sembra che Giovanni voglia qui anticipare l’agonia nel Getsemani: «La mia anima è triste fino alla morte» (Mt 26, 38). Momento drammatico, come abbiamo udito dalla seconda Lettura: «Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì» (Ebr 5, 7-8).
    Ed è così che l’invito: se uno mi vuole servire, mi segua somiglia alla scelta di Gesù nell’ora della passione: «presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia» (Mt 26, 37). Vuol dire che, quando chiama, Gesù non promette solo la partecipazione al gaudio della sua condizione filiale («Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»: Lc 10, 21), ma domanda pure di condividere il dramma della sua passione.