21 dicembre 2024
Sabato della terza settimana di Avvento
Lc 1, 39-45
Il significato del fatto che Dio in Gesù ha inaugurato l’ultimo stadio della storia della salvezza è teologicamente tanto ricco, che Luca l’ha voluto interpretare due volte: nel racconto della visitazione e nel Magnificat, che leggeremo domani. Nel brano di oggi, l’accento non va messo sulla carità e sull’interessamento di Maria nel visitare la sua anziana parente incinta. Tra l’altro, verremo a sapere che Maria se ne va proprio nel momento del maggiore bisogno. E’ poi difficile pensare che una ragazza giudea più o meno di quattordici anni facesse da sola un viaggio di quattro giorni. L’intento di Luca è eminentemente teologico: egli mette insieme le due future mamme, in modo che il bambino di Elisabetta possa essere presentato come il “precursore” del bambino di Maria. Così, l’incontro delle due madri è l’incontro dei due figli, alla cui missione esse collaborano. La “premura” con cui Maria va da Elisabetta, dice l’entusiasmo religioso per la grande grazia concessa a lei e alla sua parente. Il saluto di Maria determina in Elisabetta un effetto prodigioso: all’avvicinarsi della “Madre del Signore”, ella sente sobbalzare nel proprio seno il bambino, e con parola profetica interpreta il fatto come effetto dell’avvicinarsi del Messia e dichiara la beatitudine di Maria, per due motivi: per il “frutto del suo seno”, per essere, cioè, la madre del Messia, e per la fede con la quale ha creduto che le parole dell’angelo si sarebbero realizzate. Così, la prima beatitudine del vangelo è basata sulla fede, come sulla fede sarà basata anche l’ultima: “Beati quelli che credono pur senza avere visto”, dice Gesù a Tommaso (Gv 20,29). Io sono inserito/a in questo piano di salvezza che Dio ha realizzato in Gesù: questo per me rappresenta un’esperienza viva, concreta? Ogni cosa che mi accade, bella o brutta che sia, riesco a vederla come un momento nel mio cammino di salvezza?
P style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli