Mille volte nascesse Cristo a Betlemme
ma non in te: sei perduto per sempre
Natale: festa dell’ascolto! È quello che col suo aforisma ci ricorda con grande efficacia il mistico tedesco Angelo Silesio. La nascita del Bambino a Betlemme è il grande mistero della nostra fede: Dio fatto uomo, Dio con noi, Dio in mezzo a noi! Dio è nostro amico: ci ama così tanto, da prendere la nostra carne umana: «divenne uomo tra gli uomini, per congiungere l’uomo a Dio», dice sant’Ireneo di Lione. Per questo Natale è celebrazione dell’ascolto. Può essere che, nello scorrere degli anni, ci siamo abituati a una certa ritualità, che poco ci vede coinvolti personalmente eppure per noi cristiani questa festa ha un significato profondo: Dio viene a stare con noi nel povero Bambino di Betlemme. Accostiamoci, allora, alla debolezza e alla fragilità di questo piccolo e ascoltiamo i suoi vagiti.
Come tutti i neonati, anche Gesù avrà fatto il suo primo respiro per dilatare gli alveoli e permettere il passaggio dell’ossigeno. Ed è proprio in quel preciso momento che avrà pianto per la prima volta. Maria e Giuseppe lo avranno guardato con la stessa tenerezza e gioia con cui tutti i neogenitori ammirano i loro neonati. A Betlemme, nel silenzio della notte il primo respiro di un bimbo spazza via l’oscurità e dona la luce al mondo intero. La gioia e l’emozione diventano ascolto duraturo. Quel pianto avrà accompagnato le giornate della famiglia di Nazaret, mentre cresceva la consapevolezza che quella nascita avrebbe cambiato il corso della storia. Quel medesimo pianto diventa sussurro per tutti noi e ci spinge fuori dalle certezze acquisite. Mettiamoci, dunque, in ascolto perché Cristo possa nascere in ciascuno di noi. Cosa ci dice oggi? In questo anno particolare, caratterizzato dalla pandemia, il pianto di un piccolo diventa insegnamento di vita. Che mirabile mistero!
Cura e custodia: sono le prime due parole. Le coccole di sua madre non sono un semplice atto, ma un atteggiamento profondo. Esprimono il cuore che si dilata ben oltre l’attenzione e la premura. Sono coinvolgimento, responsabilità e impegno. Sintetizzano l’essenza umana; rendono, anzi, possibile l’esistenza proprio in quanto umana. Per non perderci, questo sussurro deve riverberarsi in noi: è un appello per ogni uomo; una sfida a rimanere umani! I medievali davano della parola «cura» una fantasiosa, seppur evocativa, etimologia: quia cor urat, «perché il cuore sia riscaldato». Se Cristo nasce in noi, dobbiamo riscaldare i cuori dei nostri fratelli. Dei poveri in particolare, di chi è debole, di chi soffre.
Sguardo: Maria e Giuseppe guardano il Neonato; i pastori accorrono e lo guardano e il Bambino sembra ricambiare. Sostiamo davanti ai presepi delle nostre case per riconoscervi un intreccio di sguardi, che si fa invito a entrare nella mistica della capanna. In una sua meditazione mattutina, Papa Francesco concludeva con questa preghiera: «Signore, tu sei qui, tra noi. Fissa il tuo sguardo su me e dimmi cosa debbo fare; come devo piangere i miei sbagli, i miei peccati; quale sia il coraggio con il quale devo andare avanti sulla strada che tu hai fatto per primo» (22 maggio 2015). È lo sguardo a tracciare il cammino.
Povertà e vulnerabilità: ne stiamo facendo esperienza in questo tempo di pandemia. Nella lettera pastorale di quest’anno «per una pastorale di cura», ho ricordato che «se nella sua corporeità la persona umana è sempre dentro il limite, nel suo cuore è sempre oltre se stessa ed è così che, proprio nella coscienza del proprio limite, può trovare la spinta per aprirsi all’Altro, per scoprire l’Altro» (n. 8). La povertà e la vulnerabilità sono spiazzanti, infastidiscono perché minano i nostri stati di vita. Sono, però, condizione indispensabile per entrare in noi stessi. È l’appello del Bambino. La capanna non è una scelta casuale, ma un riferimento imprescindibile.
Essenzialità: quest’anno abbiamo imparato a conoscere le tante sfumature di questa parola. Proprio con il Natale per noi cristiani essa acquista un sapore particolare ed è ancora Papa Francesco a spiegarne il senso: «L’essenziale è il tuo rapporto con Dio. E noi dimentichiamo, tante volte, questo, come se avessimo paura di andare proprio lì dove c’è l’incontro con il Signore, con Dio» (17 gennaio 2020). Dentro noi stessi! Tornano, allora, le parole di Angelo Silesio. Non c’è angolo visuale migliore del proprio cuore per vivere Betlemme. Non in una forma di chiusura o d’isolamento, ma di apertura totale. Essenzialità è immergersi nella vita. Ecco perché Natale è la festa dell’ascolto. Auguri!
Marcello Card. Semeraro