Per l’unificazione interiore. Lettera sulla formazione permanente del sacerdote diocesano (2013-2014), settembre 2013

Un anno fa, il 21 settembre 2012, Benedetto XVI accolse in udienza un gruppo di vescovi francesi, giunti a Castel Gandolfo per la visita ad limina. Accennando ad alcune questioni di vita ecclesiale, disse:

la soluzione dei problemi pastorali diocesani che si presentano non dovrebbe limitarsi a questioni organizzative, per quanto importanti esse siano. Si rischia di porre l'accento sulla ricerca dell'efficacia con una sorta di «burocratizzazione della pastorale», concentrandosi sulle strutture, sull'organizzazione e sui programmi, che possono diventare «autoreferenziali», a uso esclusivo dei membri di quelle strutture. Queste ultime avrebbero allora scarso impatto sulla vita dei cristiani allontanatisi dalla pratica regolare. L'evangelizzazione richiede, invece, di partire dall'incontro con il Signore, in un dialogo stabilito nella preghiera, poi di concentrarsi sulla testimonianza da dare al fine di aiutare i nostri contemporanei a riconoscere e a riscoprire i segni della presenza di Dio.

Queste parole, mi sono tornate alla memoria in questi giorni, mentre mettevo a punto l'abituale «calendario» per le iniziative comuni di presbiterio nel prossimo anno pastorale e meditavo sul brano evangelico di Lc 10,38-42 assegnato dal Lezionario alla Domenica XVI del t.o. (in questo 2013, lo scorso 21 luglio).

È il racconto della visita di Gesù a Marta e Maria, le due sorelle che lo ospitano nella loro casa. Due donne, due diversi atteggiamenti: bene intenzionata a servire e, nondimeno, tutta affannata a inseguire ed eseguire «molte cose», la prima; nell'atteggiamento di chi è pronto ad ascoltare e ad accogliere, in gesto di docilità e obbedienza, la seconda. Due posizioni differenti del corpo: quella di chi è seduta ai piedi del Maestro, quest'ultima; l'atteggiamento di chi corre di qua e di là, Marta. Due differenti orientamenti dello sguardo: rivolti soltanto verso Gesù, gli occhi di Maria; rivolti verso Gesù e verso la sorella, gli occhi di Marta: per fare confronti, per recriminare e giudicare. Da una parte c'è l'attesa, dall'altra la pretesa!

 

Vita attiva o  contemplativa?

È stato abituale, in passato, rinviare a questo brano evangelico per descrivere due forme differenti di vita religiosa: quella attiva e quella contemplativa, magari sottolineando il primato della contemplazione sull'azione. Era questa, in genere, l'interpretazione dei direttori spirituali. Con qualche eccezione. Di Tommaso d'Aquino, ad esempio, il quale, ad esempio, non mancava di sapiente equilibrio quando, pur ammettendo che la vita contemplativa sia di per sé superiore a quella attiva, spiegava che in alcune circostanze della vita presente l'azione sia da preferirsi alla contemplazione (cf. S.Th. II-II, q. 182). Questa linea pastorale, egli l'attingeva da Agostino e Gregorio magno, ma pure dalla sua tradizione domenicana del contemplari et contemplata aliis tradere: «Come illuminare è più che risplendere soltanto, così comunicare agli altri le verità contemplate è più che contemplare soltanto» (S.Th. II-II, q. 188, a.6).

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02-09-2013