mercoledì della XV settimana del tempo ordinario
Mt 11, 25-27
I vv. 25 e 26 sono una lode a Dio, creatore di tutto l’universo (“Signore del cielo e della terra”) che si è rivelato ai “piccoli” e ai “semplici”; il v. 27 è uno sguardo profondo nel più intimo mistero di Gesù. Tema centrale: “la rivelazione della salvezza”. Gesù dice che Dio si è rivelato non ai “dotti” ma ai “semplici”: non vuol dire che per ricevere la rivelazione di Dio bisogna essere “ignoranti” e non conoscere bene, per esempio, le Scritture. Tutt’altro. Essere “semplici” in questo senso significa sentirsi niente davanti a Dio, essere consapevoli che tutto è dono suo, abbandonarsi con fiducia alla sua volontà che è volontà di amore, non avere pretese. I “dotti” non sono quelli che sanno, che hanno studiato: sono quelli che confidano in sé stessi e non in Dio, che si credono migliori degli altri. Nel testo, “i dotti” sono i “farisei”, i quali si credevano superiori al popolo, che disprezzavano, perché conoscevano perfettamente tutti i precetti della Legge. La loro superbia è stata di ostacolo al riconoscimento di Gesù come figlio di Dio. L’espressione “queste cose” si riferisce al contenuto della predicazione di Gesù, in particolare il mistero della sua dignità messianica. Nel v. 27 [come in genere nella Bibbia], il verbo conoscere ha un significato profondo: non è un atto puramente mentale, ma di tutta la persona ed è rapporto profondo, amore, intima familiarità, unione: fino ad essere una stessa cosa. Tale è il rapporto tra Gesù e il Padre. Ma Gesù questa conoscenza che ha del Padre la deve comunicare a tutti: è sua missione rivelare il Regno di Dio. La rivelazione portata da Gesù, quindi, non è una somma di nozioni, di verità astratte: il suo contenuto è l’operare di Dio che si indirizza all’umanità soggetta alla schiavitù del male. E si indirizza quindi anche a me: l’azione di Dio, io la vivo, la sperimento, la sento, o per me è solo un’idea astratta?
p style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli