9 maggio – giovedì VI settimana di pasqua
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16, 16-20).
Le parole di Gesù sono valide per i discepoli di ogni tempo che sperimentano la tristezza e l’afflizione per la lontananza dalla patria celeste. C’è un “poco” da attraversare dentro il quale è racchiusa tutta la nostra vita. Le lacrime e l’afflizione durano solo un “poco”, poi c’è la gioia piena. «Questo breve intervallo di tempo – commenta il grande sant’Agostino – a noi sembra lungo, perché dura ancora; allorché sarà finito, ci accorgeremo quanto sia stato breve. La nostra gioia, quindi, non sia come quella del mondo, il quale, come dice il Signore, «godrà»; tuttavia, nel travaglio di questo desiderio, non dobbiamo essere tristi senza gioia, ma, come dice l’apostolo Paolo, dobbiamo essere «lieti nella speranza, costanti nella tribolazione» (Rm 12,12). Quando la tristezza stringe il cuore sembra che sia tutto finito, solo dopo invece ci si accorge che in quel passaggio doloroso era nascosta, come un piccolo seme, la benedizione del Signore che ora germoglia e fiorisce in gioia. Quasi a mo’ di slogan potremmo dire: diffidare della prima impressione per guardare ogni cosa con gli occhi di Gesù (don Paolo Ciccotti, Sulla tua Parola, Il messalino. Editrice Shalom, Maggio 2024).
p style=“text-align: right;”A cura di don Gian Franco Poli