1 maggio 2024 – mercoledì – San Giuseppe Lavoratore
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi (Mt 13, 54-58).
San Giuseppe, con il suo lavoro, permise alla famiglia di vivere dignitosamente e insegnò a Gesù il suo stesso mestiere; con lui il Figlio di Dio ha condiviso fatica, impegno, gioie e difficoltà di ogni giorno. Scrive papa Francesco che da Giuseppe «Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro. In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono. Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia. Una famiglia dove mancasse il lavoro è maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e perfino alla tentazione disperata e disperante del dissolvimento. Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento? La persona che lavora, qualunque sia il suo compito, collabora con Dio stesso, diventa un po’ creatore del mondo che ci circonda» (Patris corde, 6).
Nella memoria liturgica di san Giuseppe lavoratore, la liturgia ci offre questo brano di Vangelo che profuma di umiltà, di nascondimento, che profuma della Santa Famiglia di Nàzaret. San Giuseppe, l’umile falegname di Nàzaret, è stato chiamato a diventare un “uomo di Dio”, a prendere con sé Dio che si dona, Dio che si lascia prendere nella nostra vita, nella nostra carne, nel nostro mondo, nel nostro piccolo villaggio di Nàzaret, nella nostra casa, nella nostra famiglia, nella nostra professione, nella nostra umanità. San Giuseppe ha detto “sì”, ha preso con sé Gesù attraverso Maria, ha preso con sé il Verbo di Dio nel silenzio del suo cuore; ha preso con sé il dono di Dio attraverso il servizio di tutta la sua vita, di tutte le sue azioni, di tutti i gesti delle sue mani, di tutti i passi dei suoi piedi, di tutti i sentimenti del suo cuore. Così facendo è diventato un uomo rapito in Dio, un uomo preso da Dio che si dona. Ecco perché il demonio non può nulla contro di lui, ecco perché giustamente san Giuseppe è chiamato anche “Terrore dei demòni”. Con questo titolo la Chiesa gli riconosce la grande forza e il totale dominio che, per volere di Dio, san Giuseppe è in grado di esercitare sul nemico di Dio e dell’uomo (DON PAOLO CICCOTTI, Sulla tua parola. Il Messalino – maggio-giugno 2024, Editrice Shalom).
p style=“text-align: right;”A cura di don Gian Franco Poli