giovedì fra l’ottava di Pasqua
Lc 24, 35-48
Ci sono tanti cristiani che hanno «paura della gioia». Cristiani «pipistrelli», li ha definiti «con un po’ di umorismo» Papa Francesco, i quali vanno in giro con le «facce da funerale» muovendosi nell’ombra invece di puntare «alla luce della presenza del Signore».
Il filo conduttore della meditazione proposta dal Pontefice durante la messa celebrata giovedì 24 aprile nella cappella della Casa Santa Marta è stato proprio il contrasto tra i sentimenti provati dagli apostoli dopo la risurrezione del Signore: da una parte la gioia di pensarlo risorto e dall’altra la paura di vederlo di nuovo in mezzo a loro, di entrare in contatto reale con il suo mistero vivente. Prendendo spunto dal passo evangelico di Luca (24, 35-48) proposto dalla liturgia, il Papa ha ricordato infatti che «la sera della risurrezione i discepoli raccontavano quello che loro avevano visto»: i due discepoli di Emmaus parlavano dell’incontro con Gesù lungo la strada e così anche Pietro. Insomma, «tutti erano contenti, perché il Signore era risorto: erano sicuri che il Signore era risorto». Ma proprio «mentre parlavano», racconta il Vangelo, «Gesù in persona stette in mezzo a loro» e li salutò dicendo: «Pace a voi».
In quel momento, ha notato il Pontefice, è successo tutto il contrario di quello che ci si sarebbe potuti aspettare: altro che pace. Il Vangelo infatti descrive gli apostoli «sconvolti e pieni di paura». Essi «non sapevano cosa fare e credevano di vedere un fantasma». Così, ha proseguito il Papa, «tutto il problema di Gesù è dirgli: ma, guardate, io non sono un fantasma, toccatemi, guardate le piaghe!».
«C’è un parola in questo brano del Vangelo — ha chiarito il Santo Padre — che ci spiega bene cos’era successo in quel momento». Si legge nel testo: «Ma poiché per la gioia non credevano…». Questo è il punto focale: i discepoli «non potevano credere perché avevano paura della gioia». Gesù infatti «li portava alla gioia: la gioia della risurrezione, la gioia della sua presenza fra loro». Ma proprio questa gioia diventa per loro «un problema per credere: per la gioia non credevano ed erano pieni di stupore».
In sostanza i discepoli «preferivano pensare che Gesù fosse un’idea, un fantasma, ma non la realtà». E «tutto il lavoro di Gesù era far capire che era realtà: “Datemi da mangiare, toccatemi, sono io! Un fantasma non ha carne, non ha corpo, sono io!”». Inoltre, ha aggiunto il Papa, «pensiamo che questo accade dopo che alcuni di loro lo avevano visto durante la giornata: erano sicuri che fosse vivo. Poi cos’è successo non si sa…».
Il passo evangelico suggerisce, ha spiegato il Pontefice, che «la paura della gioia è una malattia del cristiano». Anche noi «abbiamo paura della gioia» e diciamo a noi stessi che «è meglio pensare: sì, Dio esiste, ma è la, Gesù è risorto, è là!» Come a dire: manteniamo «un po’ di distanza» E così «abbiamo paura della vicinanza di Gesù, perché questo ci dà gioia».
Tale atteggiamento spiega anche perché ci sono «tanti cristiani da funerale», la cui «vita sembra un funerale continuo». Cristiani che «preferiscono la tristezza e non la gioia; si muovono meglio non nella luce della gioia, ma nelle ombre». Proprio «come quegli animali — ha specificato il Papa — che riescono a uscire soltanto nella notte ma alla luce del giorno non vedono niente. Come i pipistrelli! E con un po’ di senso dell’umorismo possiamo dire che ci sono “cristiani pipistrelli”, che preferiscono le ombre alla luce della presenza del Signore».
«Abbiamo paura della gioia — ha proseguito il Pontefice — e Gesù, con la sua risurrezione, ci dà la gioia: la gioia di essere cristiano, la gioia di seguirlo da vicino, la gioia di andare sulle strade delle beatitudini, la gioia di essere con lui». Invece «noi, tante volte, o siamo sconvolti quando ci viene questa gioia o pieni di paura; o crediamo di vedere un fantasma o pensiamo che Gesù è un modo di agire». Tanto che ci diciamo: «Ma noi siamo cristiani e dobbiamo fare così!». E poco importa che Gesù non ci sia. Ci si dovrebbe piuttosto chiedere: «Ma tu parli con Gesù? Tu gli dici: Gesù, io credo che tu vivi, che tu sei risorto, che tu sei vicino a me, che tu non mi abbandoni?». È questo il «dialogo con Gesù» proprio della vita cristiana, animato dalla consapevolezza che «Gesù sempre è con noi, è sempre con i nostri problemi, con le nostre difficoltà e con le nostre opere buone».
Perciò, ha ribadito il Pontefice, bisogna superare «la paura della gioia» e pensare a quante volte «noi non siamo gioiosi perché abbiamo paura». Come i discepoli che, ha spiegato il Papa, «erano stati sconfitti» dal mistero della croce. Da qui la loro paura. «E nella mia terra — ha aggiunto — c’è un detto che dice così: quando uno si brucia col latte bollente, dopo quando vede la mucca piange». E così i discepoli, «bruciati col dramma della croce, hanno detto: no, fermiamoci qui! Lui è in cielo, va benissimo, è risorto, ma che non venga un’altra volta qui perché non ce la facciamo!».
Papa Francesco ha concluso la sua meditazione invocando il Signore perché «faccia con tutti noi quello che ha fatto con i discepoli che avevano paura della gioia: aprire la nostra mente». Si legge infatti nel Vangelo: «Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture». Dunque, ha auspicato il Papa, «che il Signore apra la nostra mente e ci faccia capire che lui è una realtà vivente, che lui ha corpo, che lui è con noi e che lui ci accompagna, che lui ha vinto: chiediamo al Signore la grazia di non avere paura della gioia».
(Francesco, Omelia Santa Marta, 24 aprile 2014)