martedì della sesta settimana del tempo ordinario
In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?» (Mc 8, 14-21).
Manca pane a sufficienza ai discepoli che sono saliti in barca con Gesù e in loro subentra la preoccupazione per la gestione di qualcosa di materiale: «Discutevano fra loro perché non avevano pane». Gesù accortosi di questo li ammoniva: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?».
Papa Francesco ha preso le mosse da questa scena del Vangelo per far comprendere la differenza che c’è tra un «cuore indurito», come quello dei discepoli, e un «cuore compassionevole» come quello del Signore, quello che esprime la Sua volontà: «E la volontà del Signore è la compassione: “Misericordia voglio e non sacrifici”. E un cuore senza compassione è un cuore idolatrico, è un cuore autosufficiente, che va avanti sostenuto dal proprio egoismo, che diventa forte soltanto con le ideologie. Pensiamo ai quattro gruppi ideologici del tempo di Gesù: i farisei, i sadducei, gli esseni, gli zeloti. Quattro gruppi che avevano indurito il cuore per portare avanti un progetto che non era quello di Dio; non c’era posto per il progetto di Dio, non c’era posto per la compassione».
Ma esiste una “medicina” contro la durezza del cuore ed è la memoria. Per questo nel Vangelo di oggi e in tanti passi della Bibbia che il Papa ha ripercorso, torna come una sorta di “ritornello” il richiamo al potere salvifico della memoria, una “grazia” da chiedere perché «mantiene il cuore aperto e fedele».
«Quando il cuore diventa indurito, quando il cuore si indurisce, si dimentica… Si dimentica la grazia della salvezza, si dimentica la gratuità. Il cuore duro porta alle liti, porta alle guerre, porta all’egoismo, porta alla distruzione del fratello, perché non c’è compassione. E il messaggio di salvezza più grande è che Dio ha avuto compassione di noi. Quel ritornello del Vangelo, quando Gesù vede una persona, una situazione dolorosa: “ne ebbe compassione”. Gesù è la compassione del Padre; Gesù è lo schiaffo a ogni durezza di cuore».
Chiedere dunque la grazia di avere un cuore «non ideologizzato» e quindi indurito, ma «aperto e compassionevole» di fronte a quanto accade nel mondo perché da questo saremo giudicati il giorno del giudizio, non dalle nostre «idee» o dalle nostre «ideologie». «Ho avuto fame, mi hai dato da mangiare; sono stato in prigione, sei venuto a trovarmi; ero afflitto e mi hai consolato» sta scritto nel Vangelo e «questa è la compassione, questa è la non-durezza di cuore». E l’umiltà, la memoria delle nostre radici e della nostra salvezza, ci aiuteranno a conservarlo tale. Da qui la preghiera conclusiva del Papa: «Ognuno di noi ha qualcosa che si è indurito nel cuore. Facciamo memoria, e che sia il Signore a darci un cuore retto e sincero — come abbiamo chiesto nell’orazione colletta — dove abita il Signore. Nei cuori duri non può entrare il Signore; nei cuori ideologici non può entrare il Signore». Egli, «entra solo nei cuori che sono come il suo cuore: i cuori compassionevoli, i cuori che hanno compassione, i cuori aperti. Che il Signore ci dia questa grazia».
p style=“text-align: right;”A cura di Francesco, Omelia Santa Marta, 18 febbraio 2020