23 novembre 2023

giovedì per la XXXIII settimana per il tempo ordinario

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc 19, 41-44).

Ormai alla conclusione della sua “lunga marcia” verso Gerusalemme, Gesù piange sulla città non appena se la vede innanzi, tutta festante per il giubilo dei pellegrini: la profezia della caduta si trova così in vivo contrasto con la situazione esteriore in cui viene pronunciata. “Quello che serve alla pace [o alla salvezza]” di Gerusalemme [che peraltro significa proprio “pace”] è il riconoscere con fede Gesù come Messia inviato da Dio a portare appunto la pace. Ma ciò ormai è tenuto nascosto ai suoi occhi per castigo della sua infedeltà, infedeltà che provocherà la punizione divina della distruzione della città, come in realtà accadrà nel 70 ad opera dei romani. Il grande amore di Gesù per il popolo di Dio messo in risalto in questi versetti mentre si prepara ad entrare in Gerusalemme, è parallelo a quello che egli manifesterà mentre esce dalla città per andare a morire. Rivolgendosi alle “figlie di Gerusalemme” che piangono su di lui, le invita a piangere su se stesse e sui loro figli, perché “verranno giorni in cui si dirà beate le sterili…e ai monti: cadete su di noi!”. La descrizione della caduta della città santa deriva certo dagli eventi realmente verificatisi nel 70, ma dipende molto dalla descrizione della caduta di Gerusalemme da parte dei profeti: ciò sta a indicare che i capi religiosi stanno ripetendo l’errore dei loro avi, con terribili conseguenze. Le ultime parole, “non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata” dichiarano esplicitamente l’incredulità di Gerusalemme come causa della sua rovina: la “visita” in linguaggio biblico designa o una punizione divina o un momento di grazia. Anche io ho avuto più volte “il tempo della mia visita”. Sinceramente, come ne ho approfittato? Merito anch’io il rimprovero che Gesù rivolte alla sua città?

A cura di Don Gian Franco Poli