14 ottobre 2023

martedì della XXXII settimana del tempo ordinario

In quel tempo, Gesù disse:«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17, 7-10).

La parabola del servo (in realtà si tratta di un vero e proprio “schiavo”, proprietà del suo padrone, anche in Israele), che per la nostra sensibilità risulta piuttosto fastidiosa, serve a Gesù per esprimere una delle dottrine fondamentali del Vangelo, dottrina che lo mette in aspro contrasto con la dominante dottrina farisaica secondo la quale a chi osserva la Legge è dovuto un compenso da parte di Dio. Gesù, invece, vuole insegnare che tutti i doni che Dio fa agli esseri umani sono solo grazia, libera concessione della bontà divina. Con questo, però, non vuole affermare che tutte le azioni morali dell’uomo sono prive di valore davanti a Dio e che l’uomo non è capace di compiere opere veramente buone: vuole solo dire che c’è una distanza infinita tra ciò che noi possiamo “meritare” con le nostre buone opere, e ciò che Dio ci dà. Già il servirlo, è una grazia. Così, questa parabola ci offre la migliore descrizione e motivazione dell’umiltà cristiana. Quando frequento le celebrazioni liturgiche, mi sento “bravo”: do del mio tempo a Dio e Dio mi ricompenserà! Se la penso in questo modo, non ho capito niente del mio rapporto con Dio. E non ho capito che se la domenica vado a messa, anche questo è un dono che Dio mi fa.

A cura di Don Gian Franco Poli