XXVII domenica per annum
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:“La pietra che i costruttori hanno scartatoè diventata la pietra d’angolo;questo è stato fatto dal Signoreed è una meraviglia ai nostri occhi”?Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21, 33-43).
La parabola non intende dare informazioni su Dio, ma sollecitare l’uomo a interpretare la sua situazione vitale partendo da elementi ed eventi presi dal suo mondo e che toccano la sua esperienza. La parabola svela all’uomo il suo peccato, gli induce il timore di un possibile severo giudizio, ma non vuole annullare la fede nel trascendente amore del Dio dell’alleanza.
Come sarebbe altrimenti possibile parlare, come Paolo, del Dio della pace? Proprio la seconda lettura può essere, almeno a livello liturgico, la chiave risolutiva d’interpretazione della serie odierna di letture. Paolo parla, da un lato, del nostro impegno per operare tutto ciò che è buono e, dall’altro, della totale confidenza che dobbiamo avere in Dio, consapevoli di poter esporre a lui ogni nostra richiesta in un dialogo senza reticenze. Ebbene questa confidenza non si fonda sulla nostra dignità o i nostri meriti ma sulla disponibilità divina all’accoglienza e all’ascolto delle nostre parole. La parabola di giudizio, che svela il nostro peccato e ci rende consapevoli di essere meritevoli di condanna, è l’elemento che ci permette di accostarci a Dio cosi come veramente siamo, in piena verità, senza coperture o infingimenti. Se noi siamo capaci di autogiudicarci, Dio può tacere il suo giudizio e lasciare aperto uno spazio per la misericordia. Ci lascia assaporare la nostra miseria e ci rende timorosi del giudizio per renderci capaci di comprendere e accogliere con piena responsabilità la grandezza del suo dono.
Padre giusto e misericordioso, che vegli incessantemente sulla tua chiesa, non abbandonare la chiesa che la tua vigna ha piantato: continua a coltivarla e ad arricchirla di scelti germogli, perché innestata in Cristo, vera vite, porti frutti abbondanti di vita eterna.
Vigna d’uva selvatica in Isaia, vendemmia di sangue in Matteo: è la domenica delle delusioni di Dio. La parabola intona il canto dell’amore deluso, canto però di una passione che nessuna delusione può spegnere, che non si arrende, che prende sempre nuovi sviluppi, che non è mai a corto di meraviglie, che ricomincia dopo ogni rifiuto ad assediare il cuore con nuovi profeti, con nuovi servitori, con il Figlio, e da ultimo con le pietre scartate. Per ogni contadino la vigna è il campo prediletto. Vigna e passione di Dio è la mia vita. Il suo scopo è portare frutto, il suo rischio è l’inutilità. Perché viene il Vendemmiatore, viene ogni giorno, viene nelle persone che cercano pane, conforto, vangelo, giustizia, amore. Viene in coloro che talvolta ci domandano un po’ di coraggio per continuare a vivere, per non lasciarsi andare. Che cosa gli daremo? Un vino di festa o uva acerba?
Io sono vigna e delusione di Dio. E se il Regno, alla fine, sarà dato ad un altro, forse inizierà da capo la conta della speranza e della delusione. Così è il nostro Dio: in Lui il lamento non prevale mai sulla speranza. E il frutto di domani conta più del rifiuto di ieri. Il bene possibile e sperato vale più della sconfitta patita. Patto d’amore mirabile e terribile. Ma c’è di più. La parabola dell’amore deluso non si conclude con un fallimento. Tra Dio e l’uomo le sconfitte servono solo a far meglio trionfare l’amore di Dio. La soluzione dei giudei è logica: ancora sangue, nuovi vignaioli e nuovi tributi. Riprende il ciclo immutabile del dare e dell’avere, nulla cambierà davvero. Gesù introduce la novità del Vangelo: Dio non spreca la storia in vendette; il suo Regno è una casa nuova la cui pietra angolare è Cristo, una vigna nuova dove la vite vera è Cristo. Con una immagine molto bella qualcuno ha detto che: l’arca aveva una vigna per vela (Lanza del Vasto). L’arca salva l’umanità e avanza sulle acque di questi ininterrotti diluvi sospinta da una vela nuova in cui soffia il vento di Dio e che indica la rotta, una vigna che è Cristo. In me deve fruttificare, germinando, il seme di Cristo, e crescerà la vela dell’arca. Il Regno sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare. È l’ultima meraviglia, l’ultima vittoria di un illogico amore. La vigna sarà donata a chi sa fare i frutti buoni che Isaia enumera: aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue. Il frutto che il Padrone attende non riguarda il suo proprio interesse, ma il volto dei suoi figli non più umiliato: passione di Dio, al tempo stesso suo patimento e suo desiderio. Il mondo è di Dio, ma è dato a chi lo rende migliore, a chi fa crescere vigne come vele per l’arca della sua storia.
A cura di padre Ermes Ronchi