18 settembre 2023

Lunedì della XXIV settimana del Tempo Ordinario

In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafarnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito (Lc 7, 1-10).

Luca, terminato il discorso delle beatitudini, passa subito all’episodio del centurione per mettere in evidenza un tema fondamentale: i pagani, impuri, sono destinatari del messaggio proclamato da Gesù. Questo pagano si mostra umile: anziché presentarsi di persona, manda da Gesù alcuni anziani dei giudei [sono i notabili del luogo] a chiedere la guarigione del servo. E non desidera che Gesù entri in casa sua, casa “pagana”, perché lui non si considera un individuo santo e buono tanto che Gesù possa entrare nella sua casa infrangendo una prescrizione. Da quanto ha udito si è fatta la convinzione che Gesù con il suo possente comando può salvare il suo servo anche da lontano. Un po’ come fa lui con i suoi soldati subalterni: lui comanda ed essi obbediscono. Così farà la malattia mortale del servo ad un comando di Gesù. Tutto questo non è in contrasto con la richiesta che Gesù “venisse a salvarlo”, che probabilmente era stata espressa dagli anziani dei giudei e non corrispondeva all’intenzione del centurione. La sua bella espressione di umiltà [Io non sono degno…], è entrata nella liturgia. E’ importante notare, che Gesù non esaudisce il centurione perché “raccomandato” dagli anziani per le sue benemerenze e la sua generosità nei confronti d’Israele, ma unicamente per la sua fede. Il suo commento infatti non è: “Che brav’uomo!”, bensì: “Mai ho trovato tanta fede in Israele”. In tal modo, sostanzialmente l’episodio risponde alla domanda: che cosa rende degna una persona di ricevere i benefici di Gesù? Ed io non posso non interrogarmi sulla mia fede: è viva o è languida? È una grande fiamma o è un lucignolo fumigante? Che posso fare – in concreto! – per ravvivarla?

A cura di Don Gian Franco Poli