25 settembre 2023

XXV settimana del tempo ordinario

«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere» (Lc 8, 16-18).

Questi tre detti proverbiali continuano la riflessione di Luca sull’ascolto della parola, ma presentano difficoltà di interpretazione. La lampada può essere il discepolo che deve manifestarsi e rendere manifesta la luce della parola di Dio anche agli “altri”: quelli a cui Gesù, spiegando la parabola, dice che parla “solo in parabole perché…udendo non intendano”. Matteo nel passo parallelo ha, infatti: “Voi siete la luce del mondo”. Il secondo detto sulle cose occulte che devono essere rivelate può essere inteso nel senso che la conoscenza dei misteri del regno di Dio non è esoterica o riservata ad una setta. Deve essere condivisa con gli altri. L’ultimo detto è il più oscuro. “Chi ha” e “chi non ha”, potrebbe riferirsi alla frase detta da Gesù subito dopo la parabola: “Chi ha orecchi da intendere intenda”. Qui, allora, si avrebbe. “A chi ha (orecchi da intendere) sarà dato, e a chi non ha orecchi da intendere sarà tolto anche quello che crede di avere”. Qui Luca esprime un radicalismo dualistico tipico dell’apocalittica. La raccomandazione di fare attenzione a come si ascolta, si comprende tenendo presente che ascoltare, nel linguaggio biblico, non significa soltanto prestare attento orecchio alla verità, alla parola di Dio: significa aprirle il proprio cuore, metterla in pratica, sforzarsi di comunicarla agli altri, praticare l’obbedienza della fede richiesta dalla predicazione ascoltata. Anche se un po’ difficili, questi versetti mi interpellano su un dato fondamentale: il mio rapporto personale con la parola di Dio. Quando ne ho l’occasione, la comunico, la manifesto, la proclamo con tutta franchezza? Ma, prima ancora, sento il dovere di conoscerla nel miglior modo che mi è possibile per essere in grado di comunicarla?

A cura di Don Gian Franco Poli