Cantori del Vangelo. Omelia per l’Ordinazione al Diaconato di Kenneth Meneses e Valerio Messina, 10 gennaio 2015

10-01-2015
1. La celebrazione della festa del Battesimo del Signore porta a conclusione il tempo del Natale, ma come nel tempo dell’Avvento il racconto del Vangelo ci presenta, accanto a quella di Gesù, la figura di Giovanni il Battista. Sembra che questi non sappia stare senza il primo. Secondo una splendida definizione di Origene, Giovanni è voce che dice la Parola («phonè tòn lógon»: Comm. al vangelo di Gv II, 32, 195). Bellissima descrizione, questa, che potremmo anche applicare al diacono cui, consegnando l’Evangeliario, il Vescovo dice: «Ricevi il Vangelo di Cristo, del quale sei divenuto l’annunziatore». Come il Battista, il diacono è «voce che dice la Parola».
Domandiamoci: chi è l’annunziatore? Non è uno che semplicemente «dice» qualcosa, che si accontenta di leggere, di pronunciare un testo. Nient’affatto. L’annunziatore proclama; quello che dice lo fa a gran voce. Vox clamans, voce che grida. Come Giovanni, appunto. Nell’epistolario di sant’Agostino è inserita una lettera del vescovo di Milevi, Severo, dalle cui espressioni possiamo capire cosa tutto questo vuol dire: «Il Signore è benedetto dalla tua predicazione e dal tuo fedele ministero. Tu, infatti, sei un’eco preziosa di quanto il Signore fa risuonare dentro di te e tutto diventa più gradevole e gustoso quando passa attraverso il tuo ministero» (cfr Epist. 109, 2: PL 33, 418). Davvero un bell’augurio per chi è chiamato ad annunciare il Vangelo.
Andiamo più a fondo. Nel latino della liturgia romana, l’esortazione episcopale dice al nuovo diacono: Evangelium Christi, cuius praeco effectus es! «Praeco» è termine che sta alla base della parola latina: «preconio», che usiamo specialmente per denominare il canto della Risurrezione, il preconio pasquale. In questa luce il termine «predicatore» si carica di un significato ancora più alto, armonico, quasi angelico. A voi due, nuovi Diaconi, la Chiesa domanda di essere «cantori» del Vangelo. Cantori, dico, non «cantanti». Il cantante fa dell’arte del canto una professione, un mestiere; il cantore vive una vocazione.
San Girolamo ammoniva così il cantore: Deo non voce, sed corde cantandum, «a Dio non si canta con la voce, ma col cuore» e aggiungeva: «il servo di Cristo canti così, che si gusti non la sua voce, ma la parola che legge» (In epist. ad Eph. 5,19: PL 28, 528). Un autore ebreo contemporaneo scrive che «il cantore deve perforare l’armatura dell’indifferenza. Deve lottare per ottenere una risposta. Deve conquistare i presenti in modo da poter parlare loro [… ] e far discendere lo spirito dal cielo sulla terra» (A. J. Heschel, Il canto della libertà, Qiqajon 1999, 112).
Ricevete, dunque, così il Vangelo di Cristo, miei carissimi. Siatene annunciatori sicché quanti vi ascolteranno s’innamorino di Cristo. Imitate Giovanni Battista, che fu un annunciatore così bravo da far dire a sant’Ambrogio che aveva la voce tanto sonora, da far divenire visibili i misteri invisibili: ut ad ejus sonum secreta coelestia resultarent (Enarr. in XII psalmos: PL 14, 994). Sembra un essenziale commento al racconto del vangelo odierno: i cieli si squarciano, lo Spirito scende verso Cristo come colomba e la voce del Padre si fa udire. Riflettiamo, allora, tutti insieme qualche altro momento.
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