La santità: discernere la presenza di Dio e trovarlo in tutte le cose

Intervento al convegno per l'apertura dell'Anno Ignaziano 2021-2022: «Vedere nuove tutte le cose in Cristo» - Pontificia Università Gregoriana
20-05-2021

«Discernere la presenza di Dio e trovarlo in tutte le cose». Non c’è alcun dubbio: il titolo assegnatomi per questo incontro rimanda senza mezzi termini all’assioma fondamentale ignaziano, che tutti noi ben conosciamo: «Cercare e trovare Dio in tutte le cose». Il verbo «cercare», però, è stato qui sostituito col verbo «discernere» e ciò potrebbe avere un significato. Vedrò di indicarlo alla fine.

Prima, però, vogliate ascoltare una storia chassidica, che mi ha sempre dato da pensare. Ha per protagonista il rabbi Baruch di Mesbiz e racconta così: «Il nipote di Rabbi Baruch, il ragazzo Jehiel, giocava un giorno a nascondino con un altro ragazzo. Egli si nascose ben bene e attese che il compagno lo cercasse. Dopo aver atteso a lungo uscì dal nascondiglio; ma l’altro non si vedeva. Jehiel si accorse allora che quello non lo aveva mai cercato. Questo lo fece piangere; piangendo corse nella stanza del nonno e si lamentò del cattivo compagno di gioco. Gli occhi di Rabbi Baruch si empirono allora di lacrime ed egli disse. “Così dice anche Dio: Io mi nascondo, ma nessuno mi vuole cercare».[1]

La storia potrebbe essere commentata in vario modo, dedicandosi, ad esempio, al tema del Deus absconditus (cf. Is 45.15). Potremmo, tuttavia, anche soffermarci sul lamento di Dio: nessuno mi vuole cercare! Il desiderio di Dio è essere cercato. Cercato – potrebbe dirsi – come una mamma e un papà, che domandano al figlio, o alla figlia: mi vuoi bene? E attendono come risposta: si, ti voglio bene! È esattamente questo il senso del «dono» che il Padre ci ha fatto nel suo Figlio e nello Spirito Santo. In queste due missioni trinitarie possiamo sempre trovare implicita la domanda del Padre, rivolta a ciascuno di noi e alla Chiesa come una volta Gesù a Pietro: mi ami? (cf. Gv 2,15-16). Io credo che questo potremmo pure chiamarlo vocazione alla santità. «Tutta la pedagogia di Dio – ha simpaticamente scritto il p. S. Fausti S. J. – è […] un gioco a nascondino: si scopre e si copre, si concede e si nega, per tenere vivo un desiderio che deve crescere all’infinito».[2]

[1] M. Buber, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, 140.

[2] S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Luca, EDB, Bologna 1994, 418. Opportuno il rimando che l’A. fa alla epéktasis (cf. Fil 3,13: «proteso verso ciò che mi sta di fronte…») di Gregorio Nisseno: quanto più progredisce nell’ascesa spirituale, tanto più scopre che Dio supera infinitamente ogni esperienza vissuta sicché trovare Dio è cercarlo incessantemente. Sul Nisseno, cf. M. Canévet, v. Gregoire de Nysse, in DS VI, 971-1011. Sulla teoria, cf. L. Petcu, The Doctrine of Epektasis. One of the Major Contributions of Saint Gregory of Nyssa to the History of Thinking, in «Revista Portuguesa de Filosofia» 2017 (73/2), 771-782, dove è pure richiamato l’apporto di J. Danielou.