Il discernimento in Amoris Laetitia

Relazione nell'inaugurazione dell’Anno Giudiziario presso il Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese (Bari)
09-02-2019

Siamo a Bari, una Chiesa che da secoli si è posta sotto lo sguardo protettore di san Nicola, santo vissuto tra il III e il IV secolo. Comincerò allora col richiamare una storia che riguarda un suo contemporaneo, vissuto però in Egitto, ed anch’esso molto noto: Antonio il Grande.

La storia è narrata da Cassiano nella sua II Collatio (cf. Collationum XXIV Collectio, II, 2: PL 49, 525-527) dedicata al discernimento. Riferisce che molti monaci anziani si recarono da Antonio, nel deserto della Tebaide, e discussero per un’intera notte su quale sia la virtù in grado di custodire il monaco immune dai lacci e dagli inganni del demonio sì da introdurlo nella comunione con Dio. Al termine Antonio disse che quella virtù è il discernimento; essa insegna al monaco a tenersi lontano dagli eccessi e a camminare sulla via regale, senza deviare a destra con un fervore esagerato, né a sinistra cadendo nel rilassamento. Per dirla in breve, «il discernimento può essere salutato come madre, custode e guida di tutte le virtù» (omnium namque virtutum generatrix, custos moderatrixque discretio est: Ibid. II, 4: PL 49, 528).

 

La virtù della prudenza: amore che discerne

Questa frase giungerà a Tommaso, il quale, per alimentare la contemplazione con la devozione (come diceva e il suo biografo riferisce)[1], leggeva quotidianamente una collatio di Cassiano, convinto anch’egli che senza il discernimento vengono meno tutte le altre virtù cardinali. Tommaso, però, trasferirà alla virtù della prudenza tutto ciò che la tradizione monastica aveva riferito al discernimento ed è per questo che «virtutum moralium motor est ipsa prudentiam quae dicitur auriga virtutum» (Super Sent. IV, d. 17 q. 2 a. 2 qc 4): la prudenza è la virtù–guida per tutte le altre.

Questo mi pare davvero riguardi direttamente l’ambito del diritto (incluso ovviamente quello canonico), giacché, com’è ben noto, per Tommaso la prudenza consistendo di per sé nella «conoscenza delle cose da perseguire e da evitare» (II-II, q. 47, a. 1) è la virtù propria di chi governa e pure di chi esercita la giustizia. Si potrebbe anche andare più a fondo individuando meglio il tradizionale discernimento in quella parte più intima della prudenza che, con Aristotile, Tommaso chiama gnome, che una corretta traduzione dovrebbe intendere come «comprensione indulgente e misericordiosa» il cui proprium è una speciale perspicacia che aiuta a «cercare il vero bene nelle situazioni complesse, ardue, nuove che scandiscono il cammino della storia e lo sviluppo del vivere». Questa, che ho appena letto, è la descrizione che ne dà il P. Dalmazio Mongillo O.P. (che amo qui ricordare) nell’ottima voce sulla virtù della prudenza ch’egli scrisse per il Dizionario di Teologia Morale.[2]