venerdì della XXXI settimana del tempo ordinario
Lc 16, 1-8
Il protagonista della parabola non è il ricco possidente di terreni, bensì il suo fattore. Una volta scoperto, egli pensa come uscire dalla sua situazione disperata e si impegna al massimo. Alla fine trova una soluzione così originale che anche il padrone lo loda perché ha “agito con accortezza”. Il nucleo della parabola è l’esemplarità del comportamento del fattore infedele, esemplarità che consiste – ben inteso – unicamente nel fatto che egli si è preoccupato del proprio avvenire finché aveva tempo per farlo. La frase finale della pericope è un chiaro rimprovero rivolto ai “figli della luce”, rimprovero che va inteso come un imperativo, una esortazione. Nel compito di gran lunga più importante e pieno di sacrifici, di mirare alla salvezza, essi debbono comportarsi con lo stesso impegno che mostrano gli uomini di questo mondo, guidati e spinti dal proprio interesse personale, nelle loro faccende esclusivamente terrene. La lezione per me è chiara. E anche senza pensare ai “figli di questo mondo” che sono “più scaltri dei figli della luce”, posso mettere a confronto l’impegno che metto nelle mie cose “terrene” e quello che metto nella mia vita di fede. Dove uso maggiore “scaltrezza”?
P style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli