San Francesco d’Assisi
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11, 25-30).
In Francesco, un santo che si è spinto fino alle radici dell’esistenza umana, appare la perenne attualità del vangelo che lui ha voluto vivere con radicalità fino alle ultime conseguenze. Certamente, la nota più originale del carisma francescano è la “minorità”: vivere in pazienza e umiltà, farsi dono all’altro senza nulla chiedere in cambio, essere poveri nello spirito, servizievoli, operatori di pace, senza alcuna pretesa, essere insomma “liberi”, svuotati di se stessi onde poter vivere per Dio e per i fratelli. Francesco è il ritratto dei «piccoli», degli «infanti» di cui parla Gesù nel nostro brano. Gesù è con i suoi discepoli tornati dalla missione: d’un tratto mostra anche esternamente una grande gioia ed a alta voce loda il Padre perché ha rivelato «ciò» ai «piccoli», agli «infanti». «Ciò» si riferisce ovviamente all’intero contenuto della predicazione di Gesù. Coloro a cui il Padre tutto ciò lo ha nascosto, i «sapienti» e gli «intelligenti», non sono coloro che hanno sapienza ed intelligenza, che in definitiva sono doni di Dio, ma gli orgogliosi, i presuntuosi, che di fronte alla parola e all’opera di Gesù si chiudono nel rifiuto ostinato. Gesù esprime poi la consapevolezza sovrumana di sé: una relazione assolutamente unica con il Padre. Gli affaticati e gli oppressi che Gesù chiama a sé e a cui promette ristoro, sono coloro che sospirano sotto il peso della legge che gli scribi impongono a chi vuole essere giusto, legge che era un giogo opprimenti per i devoti e un compito impossibile per la massa degli ignoranti a cui la legge era del tutto ignota ed estranea. Il suo giogo invece, dice Gesù, è leggero: si riassume nell’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Ma «leggero» non vuol dire non impegnativo: Gesù esige il massimo da chi lo segue, la dedizione integrale a Dio, il che non andrà senza sofferenza. Ma il discepolo fedele avrà sempre la consapevolezza di avere il proprio rifugio in Dio, di avere la pace interiore. Come Francesco: nelle sofferenze più dure, conservava sempre la «perfetta letizia». Io invece?
A cura di Don Gian Franco Poli