martedì della XXXIV settimana del tempo ordinario
Lc 21, 5-11
Inizia il discorso “escatologico” di Luca. Scrivendo solo pochi anni dopo la caduta di Gerusalemme nel 70, l’evangelista ha cura di distinguere la caduta della città santa dalle ultime cose riguardanti la “fine del mondo”, fine che alcuni cristiani ritenevano imminente, ma a torto perché Gesù non aveva mai rivelato quando sarebbe avvenuta l’irruzione del suo regno nel mondo. Di fronte alla dura sentenza di Gesù sulla distruzione del tempio, la reazione degli uditori è infantile e superficiale. Essi vorrebbero sapere “quando” e “come” tutto questo avverrà (i “segni”), chissà, forse per sottrarsi con uno stratagemma dell’intelligenza e dell’astuzia umana al giudizio divino. Ma a Gesù non interessa fare previsioni sul futuro e accontentare la banale curiosità degli astanti: egli li vuole piuttosto orientare verso un atteggiamento esistenziale di impegno e di speranza. Tutto l’armamentario apocalittico delle guerre, delle carestie ecc., che egli usa, gli serve per stimolare con il linguaggio del tempo la conversione e l’attenzione alla volontà di Dio. Il cristiano, quindi, non fa previsioni sul futuro perché è convinto della assoluta libertà di Dio nel realizzare il suo piano, ma si appoggia unicamente sulle sicurezze che gli vengono dalla fede e dalla speranza. Qual è il mio rapporto con il “futuro”, mio e del mondo? Mi fido di Dio? Sono convinto, cioè, che Dio guida la storia verso l’instaurazione del suo Regno? Tutto questo, mi dà serenità, nonostante tutto?
P style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli