venerdì SS. Timoteo e Tito
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”» (Lc 10, 1-9).
Proprio il passo del Vangelo di Luca (10, 1-9), proposto oggi dalla liturgia, fa presente che «quando il Signore invia i suoi settantadue discepoli, li invia “in povertà”, dà loro consigli di povertà». È «la povertà del discepolo: la strada del discepolo, il Signore vuole che sia povera». Se il discepolo è attaccato ai soldi, alle ricchezze, «non è un vero discepolo». Suggerendo che «ci sono tre maniere, tre modi di vivere la povertà nella vita dei discepoli, diverse povertà, tre tappe — possiamo dire — di diverse povertà».
«La prima povertà è: distaccato dai soldi, dalle ricchezze». Inviando i discepoli, Gesù raccomanda loro di non portare «borsa né sacca né sandali» e dice: «Andate con il minimo a predicare». E, ha aggiunto il Papa, «se nel lavoro apostolico ci vogliono strutture o organizzazioni che sembrano essere un segno di ricchezza, usatele bene». Ma sempre «distaccati». Ci vuole, insomma, «il cuore povero». Infatti «la condizione per incominciare la strada del discepolato è la povertà».
A questo proposito Francesco ha invitato a pensare «a quel giovane, tanto bravo, al punto di commuovere il cuore di Gesù». Quel giovane «non è stato capace di seguirlo perché aveva tante ricchezze e il cuore attaccato alle ricchezze». Invece, ha affermato il Pontefice, «se tu vuoi seguire il Signore, scegli la strada della povertà» e se si hanno ricchezze, è perché «il Signore te le ha date per servire gli altri». Ma «il tuo cuore» deve esserne «distaccato». Oltretutto, ha insistito il Papa, «il discepolo non deve avere paura della povertà, anzi dev’essere povero: questa è una delle diverse forme di povertà che il Signore chiede ai suoi discepoli».
Poi, «c’è un’altra forma di povertà» che possiamo riconoscere nelle parole stesse di Gesù: «Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi». È «la povertà delle persecuzioni, i discepoli del Signore perseguitati per il Vangelo: anche oggi ce ne sono tanti, calunniati». A questo proposito, «ieri, nell’aula del Sinodo, un vescovo di uno di questi Paesi dove c’è persecuzione ha raccontato di un ragazzo cattolico preso da un gruppo di ragazzi che odiavano la Chiesa, fondamentalisti; è stato picchiato e poi buttato in una cisterna e buttavano il fango e alla fine, quando il fango era arrivato al collo» gli intimavano «di’ per l’ultima volta: tu rinunci a Gesù Cristo?». E lui: «No!». Così «hanno buttato una pietra e l’hanno ammazzato». E «l’abbiamo sentito tutti, questo non è accaduto nei primi secoli: questo è accaduto due mesi addietro!». Ed «è un esempio» ha affermato Francesco: «Ma quanti cristiani oggi soffrono le persecuzioni fisiche: “Questo ha bestemmiato! Alla forca!”. È così. Le persecuzioni che durano tanto tempo e il nostro novantenne fratello potrà raccontarci tante cose», ha aggiunto il Papa riferendosi proprio al cardinale Simoni.
«Ma ci sono altre persecuzioni». A cominciare dalla «persecuzione della calunnia, delle dicerie e il cristiano sta zitto, tollera questa “povertà”». Sì, ha aggiunto, «alle volte è necessario difendersi per non dare scandalo». Ci sono «le piccole persecuzioni nel quartiere, nella parrocchia: piccole, ma sono la prova di una povertà». Ed «è il secondo modo di povertà che ci chiede il Signore: il primo è lasciare le ricchezze, non essere con il cuore attaccato alle ricchezze; il secondo, ricevere umilmente le persecuzioni, tollerare le persecuzioni. Questa è una povertà». C’è anche «un terzo modo» e a suggerirlo è la prima lettura della liturgia di oggi, tratta dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo (4, 10-17). Si tratta, ha spiegato, della «povertà della solitudine, dell’abbandono: quando il discepolo, che è uscito con tanta forza a predicare il Signore, anche ha tollerato le persecuzioni, alla fine della vita si sente abbandonato: abbandonato da tutti». E «questo brano di Paolo, del grande Paolo che non aveva paura di nulla, è un esempio di questa povertà».
Tanto che, Paolo «scrive a suo figlio — figlio dell’anima — Timoteo, vescovo: “Figlio mio, Dema mi ha abbandonato; Crescente è andato in Galazia. Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni: si è accanito contro la nostra predicazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito — il grande Paolo solo, davanti ai giudici pagani — tutti mi hanno abbandonato. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza». «L’abbandono del discepolo: quel ragazzo di diciassette, diciotto, venti anni — ha affermato Francesco — che con tanto entusiasmo lascia le ricchezze per seguire Gesù; quella ragazza che fa lo stesso e poi con fortezza e fedeltà tollera calunnie, persecuzioni quotidiane, gelosie, anche, le piccole o le grandi persecuzioni, alla fine il Signore può chiederle questo: quella solitudine della fine».
«Io penso all’uomo più grande dell’umanità, e questa qualifica viene dalla bocca di Gesù: Giovanni Battista: l’uomo più grande nato da donna» ha detto il Papa. Giovanni era un «grande predicatore: la gente andava da lui a farsi battezzare. Come è finito? Solo, nel carcere. Pensate, voi, cosa è una cella e cosa erano le celle di quel tempo, perché se queste di adesso sono così, pensate a quelle di allora». E Giovanni è finito «solo, dimenticato, sgozzato per la debolezza di un re, l’odio di un’adultera e il capriccio di una ragazza: così finì l’uomo più grande della storia».
Ma «senza andare così lontano — ha proseguito — tante volte nelle case di riposo, dove ci sono i sacerdoti o le suore che hanno speso la loro vita nella predicazione, si sentono soli o sole, solo con il Signore: nessuno li ricorda». E «questa terza maniera di povertà l’ha promessa Gesù allo stesso Pietro: quando eri ragazzo, tu andavi dove volevi; quando sarai vecchio, ti porteranno dove tu non vuoi». «La povertà come strada del discepolo» ha riaffermato il Pontefice. Sì, «il discepolo povero, perché la sua ricchezza è Gesù. Povero, perché non è attaccato alle ricchezze: primo passo. Povero, perché è paziente davanti alle persecuzioni piccole o grandi: secondo passo. Povero, perché entra in questo stato d’animo alla fine della vita che ci ricorda quello di san Paolo: abbandonato». E «lo stesso cammino di Gesù che finisce con quella preghiera al Padre: “Padre, Padre, perché mi hai abbandonato?”». «Che questa rivelazione sulla predilezione del Signore per la povertà — ha concluso — ci aiuti ad andare avanti e a pregare per i discepoli, per tutti i discepoli, siano preti, suore, vescovi, papi, laici: tutti. Perché sappiano percorrere la strada della povertà come il Signore vuole».
p style=“text-align: right;”>A cura di Francesco, Omelia Santa Marta, 18 ottobre 2018