XVI per annum
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”» (Mt 13, 24-30).
Anche nel Vangelo di questa domenica Gesù parla in parabole. E anche questa volta il Maestro conclude il suo discorso con quella sfida: “Chi ha orecchi intenda!” (Mt 13,43).Raccogliamo dunque la sfida di Gesù, e lasciamoci interpellare dalla parola che ascoltiamo. Soprattutto cerchiamo di cogliere il significato autentico di questa parola, senza subito piegarla ai nostri piccoli interessi.Accade infatti spesso e volentieri che comprendiamo la parola del Vangelo secondo i nostri comodi. Prendiamo, ad esempio, la parabola della zizzania, la prima che il Vangelo di domenica propone (Mt 13,24-30). Ebbene, succede spesso che essa venga interpretata come il manifesto della tolleranza di Dio: tolleranza di un Dio che amerebbe tutti, e che lascerebbe vivere in pace tutti, i buoni come i cattivi, i giusti come gli ingiusti, appunto il grano come la zizzania. Ma succede altrettanto spesso che si ponga l’accento sulla conclusione della parabola, su quella fornace ardente in cui viene gettata la zizzania: fornace che sembrerebbe rappresentare l’inferno, e cioè la punizione che sarebbe riservata ai cattivi, agli ingiusti.Evidentemente le due interpretazioni non sono false, in quanto non fanno che sottolineare due aspetti reali della parabola. E tuttavia sono interpretazioni forzate, in ultimo condizionate dalla mentalità degli uditori.Pensiamo alla prima interpretazione, quella tollerante. È abbastanza facile scorgere dietro di essa quei cristiani “liberali e aperti” che rinunciano a giudicare, ma non perché siano convinti della pazienza di Dio, quanto piuttosto perché non vedono nessuna differenza abissale tra grano e zizzania: a loro va tutto bene, e trovano ridicolo parlare di un “nemico”, di un diavolo, che ha sconvolto la piantagione di Dio.Un ragionamento opposto fanno i sostenitori della seconda interpretazione, quella giustizialista. Sono quei cristiani “integrali e puri” che vedono il male del mondo, e vorrebbero separarsi subito dai malvagi, lasciandoli al loro destino. Proprio come facevano i farisei, che si credevano giusti – e spesso anche lo erano – ma che, per questo, disprezzavano gli altri.Dunque, due interpretazioni diverse e due ragionamenti diversi: da una parte i tolleranti, dall’altra i giustizialisti; da una parte la timidezza dubbiosa di chi non è capace di vedere la gravità del male, dall’altra l’asprezza e la sicurezza di chi si sente autorizzato a giudicare l’universo. In mezzo sta la parabola di Gesù, così acuta ed intrigante da sfuggire a qualsiasi lettura parziale.Appunto questa acutezza della parabola giunge oggi fino a noi. A noi, che siamo a volte tolleranti e altre volte giustizialisti, che a volte non siamo capaci di vedere il nostro male e altre volte vediamo solo il male del prossimo. A noi giunge oggi la sfida di Gesù, che ci spinge a guardare un po’ più in là del nostro naso, e ci introduce alla novità del Regno dei cieli, a quella giustizia del Padre che è diversa: più paziente e – nello stesso tempo – più rigorosa di ogni giustizia umana. Questa è la sfida di Gesù. “Chi ha orecchi intenda!”.
A cura di don Gian Franco Poli