venerdì della XX settimana del tempo ordinario
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22, 34-40).
Il problema del “più grande comandamento” rispondeva all’esigenza di trovare un momento unificante nella dispersione di norme che la legge interpretata dai rabbini presentava, con la conseguenza di un’etica atomistica, scoraggiante e fonte di equivoci: si era arrivati a 613 precetti (248 positivi e 365 negativi). E Gesù risolve definitivamente la questione. Non che il comandamento di amare Dio e il prossimo sia una novità portata da Gesù: è già contenuto nell’Antico Testamento, nel Levitico (amore del prossimo) e nel Deuteronomio (amore di Dio).
La novità portata da Gesù va vista nella unificazione dei due comandamenti (Luca parla addirittura di un solo comandamento), e nella concentrazione di tutta la legge in questi due comandamenti. La parola “Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti” significa che la volontà di Dio espressa in tutta la Scrittura, e manifestatasi in tanti libri e tante prescrizioni particolari, è contenuta in questi due comandamenti. Tutti gli altri precetti, sia pure considerati di grado e di valore inferiore, non stanno quindi “accanto” a questi due: potremmo dire che stanno appesi ad essi come ad un gancio. Se l’amore è il compendio di tutta la legge, l’obbedienza ad ogni precetto della legge deve essere espressione di amore, e l’amore è inseparabilmente amore di Dio e del prossimo. E il prossimo non è soltanto il connazionale, e il concittadino, come intendevano in genere i giudei contemporanei di Gesù. Il prossimo è ogni persona con cui si viene in qualsiasi modo a contatto. Gesù non ha insegnato un amore romantico per “tutti gli esseri umani”; non ha detto come il poeta tedesco: “Milioni abbracciatevi!”; ha insegnato un amore concreto, nel senso che l’amore deve essere l’anima, la forza che vivifica e dà unità a tutte le possibilità di rapporti vicendevoli. Mi chiedo se “ama il tuo prossimo come te stesso” non sia diventato una specie di ritornello che non provoca in me alcuna reazione. Ma chi è in concreto il “mio” prossimo? E come devo “amarlo” in concreto?
p style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli