giovedì dellaterza settimana del tempo di avvento
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 39-45).
Il significato del fatto che Dio in Gesù ha inaugurato l’ultimo stadio della storia della salvezza è teologicamente tanto ricco, che Luca l’ha voluto interpretare due volte: nel racconto della visitazione e nel Magnificat, che leggeremo domani. Nel brano di oggi, l’accento non va messo sulla carità e sull’interessamento di Maria nel visitare la sua anziana parente incinta. Tra l’altro, verremo a sapere che Maria se ne va proprio nel momento del maggiore bisogno. È poi difficile pensare che una ragazza giudea più o meno di quattordici anni facesse da sola un viaggio di quattro giorni. L’intento di Luca è eminentemente teologico: egli mette insieme le due future mamme, in modo che il bambino di Elisabetta possa essere presentato come il “precursore” del bambino di Maria. Così, l’incontro delle due madri è l’incontro dei due figli, alla cui missione esse collaborano. La “premura” con cui Maria va da Elisabetta, dice l’entusiasmo religioso per la grande grazia concessa a lei e alla sua parente. Il saluto di Maria determina in Elisabetta un effetto prodigioso: all’avvicinarsi della “Madre del Signore”, ella sente sobbalzare nel proprio seno il bambino, e con parola profetica interpreta il fatto come effetto dell’avvicinarsi del Messia e dichiara la beatitudine di Maria, per due motivi: per il “frutto del suo seno”, per essere, cioè, la madre del Messia, e per la fede con la quale ha creduto che le parole dell’angelo si sarebbero realizzate. Così, la prima beatitudine del vangelo è basata sulla fede, come sulla fede sarà basata anche l’ultima: “Beati quelli che credono pur senza avere visto”, dice Gesù a Tommaso (Gv 20,29). Io sono inserito/a in questo piano di salvezza che Dio ha realizzato in Gesù: questo per me rappresenta un’esperienza viva, concreta? Ogni cosa che mi accade, bella o brutta che sia, riesco a vederla come un momento nel mio cammino di salvezza?
A cura di Don Gian Franco Poli