Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni
In quel tempo, il Signore disse: «A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli» (Lc 7, 31-35).
È il primo di tre esempi che hanno come tema la necessità di scegliere tra il vecchio (probabilmente le pratiche del giudaismo) e il nuovo (il vangelo). Circa il digiuno di cui si disputa nel nostro testo, al tempo di Gesù non c’erano prescrizioni formali della legge: era una pia pratica che però finiva per diventare una consuetudine normativa. Praticare il digiuno era segno di religiosità profonda, come era riconosciuto per esempio a Giovanni Battista e ai suoi discepoli. E siccome i discepoli di Gesù “mangiavano e bevevano”, erano considerati più o meno come dei peccatori. Gesù rispondendo all’obiezioni degli scribi e dei farisei non condanna la pratica del digiuno che lui stesso aveva praticato (i quaranta giorni nel deserto). Il digiuno è tempo di penitenza, di preparazione ad una grande festa. È un atteggiamento di povertà, di disponibilità e di attesa che Dio solo può colmare. Ma Gesù vuole ora mettere in risalto la peculiarità dei tempi messianici che nel tardo giudaismo erano spesso equiparati ad un festino di nozze. Questo è il “punto medio del tempo”, il tempo che anticipa l’escatologia, “le ultime cose”, il tempo privilegiato che coincide appunto con la carriera terrena di Gesù. Quando lo sposo sarà strappato loro (quando Gesù subirà la passione e la morte) i discepoli, allora sì, digiuneranno. Dal carattere festivo dei tempi messianici, Gesù con le due parabole del panno e del vino, passa al tema della novità: il “nuovo” è il tempo messianico, il “vecchio” è il tempo precedente, dei quali Gesù mette in risalto la diversità. Nell’ultimo versetto, il desiderio e la nostalgia del “vino vecchio” si riferiscono probabilmente al comportamento di una parte della comunità che voleva ancora attenersi a delle pratiche giudaiche, cosa che impediva di accogliere, in modo esclusivo e pieno, il vino nuovo del vangelo. Anche il nostro è un tempo “messianico”: Gesù, lo Sposo, è presente in mezzo a noi. Ma io, me ne accorgo? Ne sono veramente convinto/a?
A cura di Don Gian Franco Poli