2 settembre 2023

XXI settimana del Tempo Ordinario

«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”» (Mt 25, 14-30).

Il significato generale della parabola è chiaro e se n’è avuta già una anticipazione nella parabola del servo fedele contrapposto a quello che si dà alle gozzoviglie, letta l’altro ieri, e in quella delle vergini prudenti contrapposte alle vergini stolte, letta ieri. Qui, tuttavia, viene messo in risalto l’aspetto dinamico dell’attesa che intercorre tra la risurrezione di Gesù e il suo ritorno alla fine dei tempi, cioè nel “tempo della chiesa”. La “vigilanza” non deve essere un’attesa inerte, deve essere feconda di risultati. Ciò fonda la necessità di un’etica nel lungo “tempo della chiesa”. Il compito della dilatazione del “regno “ è affidato ai “servi”, e la parabola vuol fare scoprire ai fedeli l’obbligo di far fruttificare i beni del regno nel tempo che è loro concesso a questo scopo. L’essere umano riceve il talento dal suo Signore come un dono che egli deve far fruttare nella vita. Da chi riceve molto sarà richiesto molto, da chi riceve poco sarà richiesto poco. Ma il Signore si aspetta da ciascuno che lavori con i doni affidatigli, che non solo li amministri fedelmente ma li moltiplichi. E’ chiaro che questa esigenza va sempre al di là delle nostre possibilità umane. Ma anche qui non si tratta di una corrispondenza esatta tra opere e premio: si tratta di una esigenza fondamentalmente senza limiti, come quando Gesù ci dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Di conseguenza anche il premio non è commisurato alle opere (sarebbe ben piccolo!), è bensì un premio sovrabbondante e senza misura più grande: “Entra nella gioia del tuo Signore”.

A cura di Don Gian Franco Poli