giovedì della XV settimana del tempo ordinario
Mt 11, 28-30
Gli affaticati e oppressi che Gesù chiama a sé, sono coloro che sospirano sotto il peso della legge religiosa che gli scribi impongono a chi vuole essere giusto. Anche se era considerata il più prezioso possesso d’Israele, la legge, nelle formulazioni in forma casistica che le avevano dato i rabbini, era diventata un giogo opprimente per i devoti e impossibile da portare da parte del basso popolo. Gesù propone un altro giogo: quello dell’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Ed è un giogo leggero perché libera da una quantità opprimente di decreti della legge che gli ebrei dovevano osservare. Gesù, per invitare a seguirlo, si presenta come “mite ed umile di cuore”: chi lo seguirà, troverà in lui ristoro e pace. Ma non bisogna fraintendere queste parole “tranquillizzanti” di Gesù: in altri passi egli ha espresso con inesorabile rigore l’altezza e la severità delle esigenze morali cui devono soddisfare i discepoli. Seguire Gesù, equivale a soffrire a causa del “mondo”. Quando Gesù definisce “leggero” il suo giogo, intende dire che osservare i suoi comandamenti non è una esigenza impossibile ed opprimente per chi decide di seguirlo, e che nonostante le sofferenze e le difficoltà provocate dal mondo, il discepolo avrà sempre da Dio la pace interiore. È vero che Gesù esige il massimo dai discepoli: ma dà anche la certezza di avere in Dio il proprio rifugio. Se ho dovuto soffrire “a causa di Gesù”, ho fatto concretamente l’esperienza di “avere in Dio il mio rifugio”? O mi sono lasciato prendere da sconforto, delusione o altro?
p style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli