mercoledì della XXXII settimana del tempo ordinario
Lc 17, 11-19
Il tema centrale della pericope non è il fatto della guarigione miracolosa e nemmeno tanto il tema della riconoscenza, quanto la qualità della persona che prova tale riconoscenza: un samaritano e lebbroso, qualità nelle quali Luca pare concentrare l’essenza della emarginazione e della povertà, dell’esclusione e della miseria. I dieci lebbrosi, infatti, non si possono avvicinare al gruppo di persone in mezzo alle quali si trova Gesù, per cui “fermatisi a distanza, alzarono la voce…”. Oltre alla emarginazione che provocava, la lebbra era considerata come una maledizione divina, un grave castigo di Dio per un peccato gravissimo. I samaritani inoltre erano considerati eterodossi, nemici di Israele, individui con i quali l’ebreo puro e genuino non doveva avere il pur minimo contatto. Da ciò scaturisce l’idea fondamentale del brano: la salvezza è offerta a tutti e in particolare ai meno privilegiati. I dieci lebbrosi, mentre andavano dai sacerdoti, dice Luca, furono guariti. Invece al lebbroso samaritano che lo ringrazia, Gesù dice “la tua fede ti ha salvato”, fede rivelata dal fatto che era “tornato a dare gloria a Dio”. Il miracolo può guarire, ma solo la fede può salvare. Mi chiedo: io come vedo gli “emarginati”, i “samaritani” che incontro? Ho lo stesso atteggiamento di Gesù? O invece, a volte provo, fastidio se certe persone mi si avvicinano? Io sono uno dei “nove”, o sento che la mia riconoscenza deve essere infinita, perché “tutto è grazia”?
P style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli