Venerdì della seconda settimana di Avvento
Mt 11, 16-19
Gesù nei versetti precedenti ha fatto l’elogio di Giovanni Battista: ora lo presenta come il “profeta rifiutato” dalla “presente generazione”, sorte che, peraltro, sarà anche la sua, e lui lo sa. La similitudine con i fanciulli capricciosi che non sono mai contenti del gioco che viene loro proposto, serve ad affermare che i giudei respingono sempre, con uguale ostinazione, la parola di Dio, in qualunque forma essa venga loro offerta. E Gesù va al concreto: Giovanni era un asceta dalla condotta di vita più severa e i suoi contemporanei lo hanno preso per pazzo, posseduto da un demonio. Gesù si è presentato in modo del tutto diverso: partecipa a pranzi e respinge la pratica dei digiuni dei farisei ed anche dei discepoli di Giovanni, e i suoi contemporanei gli rivolgono rimproveri odiosi ed offensivi: lo hanno giudicato un mangione e un beone, un uomo che frequenta ambienti equivoci e poco rispettabili. L’ultimo versetto dice quanto fossero errati questi giudizi. Sia in Giovanni che in Gesù, infatti, agisce la sapienza di Dio, la quale ha costituito l’uno come predicatore di penitenza, l’altro come portatore di gioia, sposo celeste. E nonostante il rifiuto della maggior parte dei giudei, vi sono persone che nelle opere di Giovanni e di Gesù hanno riconosciuto l’attuarsi della volontà di Dio: “alla sapienza è resa giustizia dalle opere sue”. Perché queste persone hanno “visto”, e la maggior parte dei giudei non hanno “visto”? Perché non si sono chiuse nella loro ostinazione, nella gelosa conservazione dei propri privilegi e del proprio potere, come facevano invece scribi e farisei. In breve: hanno avuto fede. E questo è per me un grande insegnamento: devo coltivare lo “sguardo soprannaturale”, per riconoscere nei segni visibili – per esempio (e soprattutto!) nella figura visibile della Chiesa – il Dio invisibile, le opere della sua sapienza.
P style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli