mercoledì della seconda settimana di avvento
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11, 28-30).
Nel vangelo di Luca, Gesù narra questa parabola per i farisei che mormoravano perché accoglieva i peccatori e mangiava con loro. Ciò andava contro il principio: “L’uomo non si accompagni ad un empio, neppure per condurlo allo studio della Legge”. In Matteo, invece, la parabola si trova inserita in un capitolo che ha lo scopo di regolare i rapporti all’interno della comunità cristiana secondo un ideale di fraternità, ed è alla comunità, che essa è diretta, con un intento catechetico-pastorale. La parola tematica è “smarrirsi” detto della pecora e ripetuto tre volte. In corrispondenza allo smarrimento, si sviluppa la dinamica della parabola: andare a cercare la pecora smarrita, ritrovarla, e avere maggiore gioia per il ritrovamento. Tutto questo per ricordare alla comunità di essere attenta alla volontà del Padre che “non vuole che si perda neanche uno di questi piccoli”. I “piccoli” sono i membri più umili, più semplici e fragili della comunità che si sono sviati e corrono il pericolo di perdersi per il disprezzo con cui potrebbero essere trattati o per una eccessiva severità. All’inizio di questo stesso capitolo 18 (v. 6) Gesù aveva già avvertito sulla gravità di “scandalizzare” questi piccoli. Qui insiste non solo sul non scandalizzarli, ma sul dovere di prendersene sollecita cura. E’ nella comunità che si ha modo di ritornare alla vita. Fuori di essa si corre il rischio di rimanere schiavi del mondo. Mi può essere capitato di vivere accanto a una o più pecore “smarrite”: quale è stato il mio comportamento? Mi può essere capitato anche di essere io la pecora “smarrita”: ho cercato nella comunità l’aiuto per ritrovare la strada?
A cura di Don Gian Franco Poli