Oggi riflettiamo sulla parabola del buon samaritano che mette in scena un sacerdote, un levita e un samaritano. Il sacerdote, forse, ha guardato l’orologio e ha detto: “Ma, arrivo tardi alla Messa…” e l’altro ha detto: “Ma, non so se la Legge me lo permette…”. Vanno per un’altra strada e non si avvicinano. E qui la parabola ci offre un primo insegnamento: non è automatico che chi frequenta la casa di Dio e conosce la sua misericordia sappia amare il prossimo. Eppure non esiste vero culto se esso non si traduce in servizio al prossimo. Ignorare la sofferenza dell’uomo significa ignorare Dio. Il samaritano, cioè quello sul quale nessuno avrebbe scommesso, non passò oltre: “ne ebbe compassione” cioè il cuore, le viscere, si sono commosse! Ecco la differenza. Il cuore del samaritano era sintonizzato con il cuore di Dio. La compassione, l’amore, non è un sentimento vago, ma significa prendersi cura dell’altro fino a pagare di persona. Significa compromettersi compiendo tutti i passi necessari per “avvicinarsi” all’altro fino a immedesimarsi con lui: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Ecco il Comandamento del Signore.(Papa Francesco, udienza generale, 28.08.2016)