San Lorenzo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (Gv 12, 24-26).
Siamo subito dopo l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. Mentre i capi del popolo si ostinano a non credere, alcuni “greci”, quindi pagani, estranei al popolo eletto, chiedono a Filippo di “vedere Gesù”. “Vedere” ha spesso in Giovanni, un senso forte: i greci vogliono conoscere Gesù e credere in lui. È una prefigurazione della universalità della salvezza. Alla richiesta, Gesù risponde con la parabola del chicco di grano: senza la morte non si dà fecondità. Il seme, infatti, solo morendo produce qualcosa di nuovo e solo allora rivela la sua mirabile fecondità. Gesù applica a sé stesso la parabola: la sua morte è seme di una vita del tutto nuova e feconda. Questo principio, poi, non vale solo per la morte del Cristo, ma anche per quella di ciascuno dei suoi discepoli. Accettando volontariamente questa morte, giunge per Gesù e per i discepoli l’ora della glorificazione (“Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”), e la redenzione si estende con tutti i suoi frutti a tutti gli esseri umani. Il tutto si applica perfettamente a s. Lorenzo, diacono romano martirizzato nel 258 durante la persecuzione di Valeriano. Ma si applica anche a me: se voglio “portare frutto”, devo “morire”. Morire al mio egoismo, alle mie pretese, alla mia pigrizia, alla mia superbia…
p style=“text-align: right;”A cura di Don Gian Franco Poli